Margrethe Vestager, commissaria alla Concorrenza e candidato dei Liberali alla presidenza dell’esecutivo Ue, ha esultato a modo suo: «Abbiamo rotto un monopolio». I risultati le danno ragione. L’Eurocamera uscita dal voto delle elezioni del 23-26 maggio si presenta spaccata in almeno cinque blocchi politici, superando la diarchia fra Partito popolare europeo e alleanza dei Socialisti&Democratici che aveva dominato l’emiciclo negli ultimi 40 anni.
Popolari e Socialisti restano le due famiglie più rilevanti, con 179 e 153 seggi ciascuno, ma scivolano sotto la soglia necessaria per una maggioranza stabile: 376 seggi, la metà più uno degli eurodeputati. Un cambio di rotta che sta influenzando le trattative in corso a Bruxelles per la formazione di una maggioranza nell’Emiciclo, in simultanea con il summit informale dei leader Ue del 28 maggio per discutere le nomine di maggior peso nella Ue. Dal presidente della Bce a, appunto, il successore di Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione.
La maggioranza di fatto fra Popolari e Socialisti ha ceduto sotto la crescita poderosa dei liberali dell’Alde (105 seggi, complice il drappello di parlamentari in arrivo dai francesi di En Marche!), la buona performance dei Verdi (69 seggi, contro i 52 di cinque anni fa) e l’ascesa blocco sovranista che cerca di delinearsi fra i vari gruppi euroscettici sulla sponda destra dell’Emiciclo: l’Europa delle nazioni e delle libertà (58 seggi), destinato a confluire nella Alleanza nazionalista sponsorizzata da Salvini; l’Europa delle libertà e della democrazia diretta (54seggi), la famiglia dei Cinque stelle, avviata allo scioglimento per la fuga di membri di peso come Alternativa per la Germania; alcuni outsider in bilico con le rispettive famiglie politiche e corteggiabili da una nuova coalizione euroscettica, come il partito del primo ministro ungherese Orbán Fidesz (13 seggi, affiliato ai Popolari ma in rotta di collisione) e il Brexit Party di Nigel Farage (29 seggi, in forza alla moribonda famiglia dell’Europa delle libertà e della democrazia diretta).
Il problema delle alleanze
Ora il principale rebus sul tavolo è la tessitura di un’alleanza capace di superare l’asticella dei 376 eurodeputati, magari
con un margine minimo di sicurezza in più. Gli equilibri richiesti variano a seconda degli obiettivi e delle scadenze. Nell’immediato,
la maggioranza è necessaria per l’elezione del presidente della Commissione europea, proposto dal Consiglio europeo ma approvato
in ultima sede solo dall’assemblea parlamentare. In quest’ottica, le ipotesi tratteggiate già alla vigilia del voto insistono
soprattutto su due opzioni. La prima è di un’intesa fra Popolari, Socialisti e Alde, equivalente 437 seggi. Ma nel calcolo
bisogna includere due contingenti in bilico: i 13 seggi degli ungheresi di Fidesz, tentati dalla rottura con il Ppe, e il
drappello di parlamentari laburisti che si affilia ai Socialisti e darà l’addio all’Eurocamera dopo la Brexit. Una maggiore
stabilità sarebbe offerta dalla seconda chance: un’intesa a quattro fra Popolari, Socialisti, Liberali e Verdi, forti di un
bottino di 69 seggi che porterebbe il blocco filoeuropeo a una maggioranza più ampia: 506 seggi. Fonti dal Partito popolare
europeo fanno sapere che il gruppo sta lavorando nella direzione dell’intesa a quattro, anche nell’ottica di un’intesa di
cinque anni.
Sul lungo termine, in effetti, un’intesa di massima fra gruppi politici dovrebbe sfociare in una linea comune sui tanti dossier
in cantiere per la legislatura 2019-2024, dalle migrazioni alla politica industriale e al clima. Ma è qui che iniziano i dolori.
Il collante dell’europeismo può bastare per un compromesso sul voto al presidente della Commissione, che vede ora tra le sue
candidature più in crescita quella della stessa commissaria Vestager. Meno per una collaborazione stabile su una delle principali
attività dell’Eurocamera, l’approvazione degli atti giuridici Ue. I Verdi, ad esempio, hanno votato di rado in linea con Popolari
e Liberali, creando elementi di tensione anche con gli stessi socialisti. A propria volta, i Liberali hanno espresso posizioni
contrastanti con le correnti più a destra del Ppe, oltre ad avere incalzato pubblicamente il capogruppo Manfred Weber per
l’espulsione diOrbán e una cesura netta con le forze “in odore” di sovranismo.
L’ipotesi di un’alleanza a destra e sinistra
Fra gli scenari alternativi si sono profilati quelli di una maggioranza sbilanciata a destra o a sinistra. Sul primo versante,
il Ppe cercherebbe di sommare i suoi 180 seggi a quelli dei Conservatori e riformisti (59) e al fronte aggregato degli euroscettici.
I cosiddetti sovranisti dovrebbero orbitare intorno ai 110 seggi, frutto della somma di Europa delle nazioni e delle libertà
(58), Europa della libertà e della democrazia diretta (54), anche se Salvini sostiene si possa arrivare a numeri maggiori.
«Partiamo da una base di oltre 70 seggi - spiega l’Eurodeputato leghista Marco Zanni - L'obiettivo di aumentare ancora di
più il numero totale di deputati e costruire un gruppo solido e coeso che possa incidere, e la Lega sarà il perno su cui si
poggerà questa nuovo progetto» .
Il problema è che si resterebbe comunque ben al di sotto dei 376 seggi necessari. L’asticella potrebbe essere superata
con l’appoggio dei liberali, ma Zanni esclude qualsiasi collaborazione: «Escludo in ogni caso in partenza l'Alde di Verhofstad
e Macron- dice Zanni - Ricordo che, numeri alla mano, se i Popolari vogliono avere una solida maggioranza dovranno cercare
un compromesso: vedremo se vorranno gettarsi tra le braccia della sinistra o sposare un nuovo progetto». Sono sempre i numeri
a frenare sul nascere la seconda congettura: quella di una coalizione fra socialisti e sigle più a sinistra, magari con un
assist dei liberali dal centro. Il totale fra S&D (153 seggi), Verdi (69), Sinistra unitaria europea (39) e Alde (105). Il
totale sarebbe di 366 seggi, 10 sotto quelli che servono per governare.
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