Se tra duemila anni si perdesse ogni traccia della nostra civiltà tranne i data base dei social network e gli archeologi del futuro fossero costretti a farsi un’idea di quello che siamo (stati) da post e tweet condivisi col web, non ne usciremmo proprio benissimo. Prendiamo un essere umano a caso: il presidente americano Donald Trump. Venerdì 7 giugno se l’è presa via Twitter con la Nasa, colpevole di spendere troppi soldi e continuare a parlare di un ritorno sulla Luna, piuttosto che concentrarsi su «cose più grandi», tipo uno sbarco su Marte «di cui la Luna è una parte». Ma come? La Luna provincia del Pianeta Rosso?
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«The Donald» è un uomo pieno di risorse, con lui non ci si annoia mai - valeva quando era un palazzinaro con l’hobby del wrestling, vale ancora di più oggi che fa il comandante in capo degli Stati Uniti - ma stavolta non è semplice rendersi interpreti del suo sofisticato pensiero cosmico. L’antefatto è rappresentato dall’annuncio di un possibile ritorno sulla Luna degli astronauti dell’agenzia spaziale statunitense, a partire dal 2024. È chiaro già da qualche mese e sempre per mezzo di Twitter. A maggio 2019 Mr. President cinguettò: «Stiamo per tornare sulla Luna». Parole che facevano seguito alle dichiarazioni rilasciate a marzo dal dirigente della Nasa nominato dallo stesso Trump Jim Bridenstine, per un ritorno prossimo venturo sul satellite della Terra. Che è successo tra il presidente Usa e Bridenstine? Non si prendono più?
For all of the money we are spending, NASA should NOT be talking about going to the Moon - We did that 50 years ago… https://twitter.com/i/web/status/1137051097955102720
– Donald J. Trump(realDonaldTrump)
Ma soprattutto: che ha inteso dire Trump con quel «la Luna è una parte» di Marte? Teorie più o meno creative sull’origine del satellite terrestre non ne mancano, col genere si cimentò pure George Darwin, figlio del celeberrimo autore de L’origine delle specie, ma che la Luna fosse contrada, quartiere o cantone del pianeta del nostro sistema solare che da sempre ci affascina di più sembra una boutade che manco i terrapiattisti duri e puri. Forse il messaggio di Trump sottintendeva il riferimento a un piano Nasa che porterebbe gli astronauti americani su Marte partendo dalla Luna, ma per come è scritto non ci è dato capire.
Colpa probabilmente del lato oscuro della comunicazione ai tempi del web, dell’eccessiva sintesi imposta dai social network, dei caratteri massimi previsti da Twitter che - per quanto siano passati da 140 a 280 - continuano a essere pochi per rappresentare perbene la complessità delle cose. Cinquecento anni fa c’era chi s’immaginava viaggi sulla luna per recuperare il senno perduto. Nel Terzo Millennio forse basterebbe un «cerca» sui social.
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