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Primo accordo al G-20: ci sarà una digital tax globale

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il summit di fukuoka

Primo accordo al G-20: ci sarà una digital tax globale

Difficile, se non impossibile, creare un consenso al G20 da quando è in carica l’Amministrazione Trump. Ieri però, da Fukuoka, Giappone, i ministri delle Finanze del consesso internazionale sono riusciti a trovare un accordo di principio sulla necessità di tassare a livello globale i giganti del web.

Il problema è particolarmente sentito in Europa, dove il fisco di alcuni Paesi (Irlanda, Olanda e Lussemburgo in particolare) permette schemi di tassazione particolarmente vantaggiosi, in gran parte svincolati dal luogo in cui i ricavi vengono generati. L’idea è quella di cominciare a lavorare per un sistema il più possibile armonizzato di tassazione da presentare al G20 dell’anno prossimo sotto forma di accordo finale.

Lo schema di base prevede due pilastri. Il primo vuole introdurre una tassazione sulla base del luogo in cui i ricavi di gruppi come Google, Amazon e Facebook vengono realizzati (localizzazione dell’utente/cliente finale) anche nel caso in cui la società non abbia una sede legale nel Paese in questione. Il secondo servirebbe ad arginare eventuali e nuove forme di elusione stabilendo una tassa minima digitale su scala globale.

Se questo è il quadro di riferimento, le differenze tra Paesi persistono e la strada verso il rapporto finale sarà lunga e difficile. A premere per un sistema globale di tassazione dei giganti digitali sono soprattutto Francia e Gran Bretagna. Sul primo pilastro la visione di Londra diverge da quella americana e non si è ancora arrivati a una definizione univoca di cosa sia realmente il business digitale e come debbano essere ripartite le competenze in materia di tassazione tra i diversi Paesi.

Il segretario al Tesoro americano Steve Mnuchin ha sottolineato di non essere d’accordo con alcuni dettagli del modello, ma di sostenere la necessità di una maggiore e più equa tassazione dei colossi del web. Il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire , è stato come sempre netto sul tema: «Non possiamo spiegare alla popolazione che deve pagare le tasse quando alcune società non lo fanno perché riescono a trasferire gli utili in giurisdizioni a bassissima tassazione. Al momento non esiste un sistema di tassazione adeguato per questo nuovo modello economico».

Alla fine, neanche tanto a sorpresa, quello fiscale è stato l’argomento meno controverso della prima giornata di lavori del G20 che si chiude oggi. Sul resto, come ormai si sperimenta dal G20 di Baden Baden del marzo 2017, la ricerca di un consenso sul multilateralismo e sulla necessità di continuare a promuovere l’apertura degli scambi mondiali di beni e servizi, si scontra con la politica della Casa Bianca, in piena guerra commerciale e tecnologica con la Cina. Nel comunicato finale atteso per oggi si esprimerà al massimo un sostegno affinché le politiche monetarie delle grandi economie restino espansive in modo da sostenere la crescita in una fase di rallentamento sempre più pronunciato, se necessario anche attraverso un taglio dei tassi d’interesse.

A margine degli incontri di Fukuoka lo stesso Mnuchin ha esortato Pechino a riprendere al più presto i negoziati con Washington, da settimane in fase di stallo, seguendo l’esempio di quanto è accaduto tra Messico e Stati Uniti, dove il presidente Trump ha sospeso l’applicazione dei dazi dopo l’accordo sul controllo dei migranti.

Il previsto incontro tra Xi Jinping e Trump al prossimo G20 dei capi di Stato e di governo che si terrà a Osaka il 28-29 giugno non manca di paralleli con il precedente di Buenos Aires, ha detto Mnuchin in un’intervista a Reuters: anche allora si era alla vigilia di un aumento di dazi che avrebbe colpito centinaia di miliardi di dollari di beni cinesi; ora incombono nuove tariffe americane sui 300 miliardi di dollari in beni di consumo.

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