Sale la tensione sul caso del danneggiamento di due petroliere nel Golfo dell'Oman (appena fuori il Golfo Persico), nei pressi dello strategico stretto di Hormuz: il secondo attacco a cargo petroliferi nel giro di un mese nella regione, in coincidenza con un periodo di pericoloso inasprimento delle tensioni tra Stati Uniti e Iran. Nella serata di giovedì il segretario di stato Usa, Mike Pompeo, era stato diretto nelle sue accuse: «L’Iran è responsabile, per colpire gli alleati degli Stati Uniti». Una tesi ribadita dallo stesso presidente Donald Trump in una intervista all’emittente Fox: «Vedremo cosa succederà» ha aggiunto, senza speficare quali saranno le reazioni degli Stati Uniti.
La risposta sarà economica e diplomatica». La tesi di una «mano iraniana» è stata rinforzata dalla diffusione di un video dove si mostrano membri della Guardia rivoluzionaria islamica rimuovere una mina inesplosa da unam delle petroliere, con l’obiettivo di nascondere le eventuali prove dell’attacco. L’Iran ha negato qualsiasi coinvolgimento, accusando gli Stati Uniti di aver ordito una «campagna iranofoba». Alcune testimonianze depongono a favore di Tehran. L'armatore giapponese proprietariodella petroliera Kokuka Courageous, attaccata nel Golfo dell'Oman, riferisce di aver notato 'oggetti volanti' prima dell'esplosione, escludendo così l’ipotesi del ricorso a mine. Il governo di Tokyo è alla ricerca di maggiori informazioni per individuare i responsabili dell'attacco di ieri delle due petroliere - una giapponese e una norvegese, nel golfo dell'Oman.
La nuova crisi nel Golfo è scoppiata nella mattinata di giovedì. La “Kokuka Courageous”, in navigazione verso Singapore con un carico di metanolo, ha subito una squarcio allo scafo sopra la linea di galleggiamento, probabilmente colpita da un siluro, mentre la “Front Altair” (di proprietà norvegese) , che trasportava verso Taiwan 75mila tonnellate di nafta, sarebbe stata danneggiata da esplosioni, che una fonte ha attribuito a una mina magnetica. Gli equipaggi sono stati salvati ed evacuati e le navi sono ora alla deriva.
Entrambe le navi commerciali risultano “collegate” al Giappone: probabilmente sarà un caso, ma gli attacchi sono avvenuti mentre il primo ministro giapponese Shinzo Abe si trova in Iran per cercare di allentare le tensioni tra due Paesi entrambi amici del Giappone. Tuttavia, nella serata di giovedì, sempre Mike Pompeo ha dichiarato che «è troppo presto per pensare a un accordo con l’Iran». Il giorno precedente, peraltro, le forze ribelli in Yemen - sostenute dall’Iran - avevano lanciato un missile verso un aeroporto saudita, ferendo 26 persone: anche questa guerra, che dura da quattro anni, contribuisce a infiammare le tensioni nella regione.
Il precedente
Per gli attacchi del 12 maggio scorso a quattro cargo (di cui due petroliere saudite) presso gli Emirati, gli Stati Uniti avevano indicato di sospettare l’Iran per la posa di mine ed è probabile che anche in questa occasione i sospetti di Washington cadano nella medesima direzione.
Le autorità iraniane ovviamente negano ogni coinvolgimento diretto o indiretto, ma le tensioni nell’area del Golfo sono andate alle stelle dopo il ritiro degli Usa (avvenuto l’anno scorso) dall’accordo internazionale sul nucleare iraniano, seguito da sanzioni e altre forti pressioni economiche sostenute anche dal rafforzamento del dispositivo militare navale statunitense nella regione.
La visita di Shinzo Abe in Iran
Proprio oggi il leader supremo, Ayatollah Ali Kamenhei, ha detto chiaramente a Shinzo Abe che l’Iran non ripeterà l’amara esperienza di negoziare con gli Stati Uniti e che non ha alcun messaggio da far recapitare al presidente Donald Trump. Abe - primo premier giapponese a visitare l’Iran, dove però già suo padre si era recato come ministro degli esteri - è considerato latore di un generico messaggio di Trump ai leader iraniani, che il presidente intende forzare a una nuova trattativa, facendo circolare in parallelo la minaccia di una escalation verso un possibile confronto anche militare.
Secondo Khamenei, l’Iran non vuole possedere bombe atomiche, ma «l’America non può fare nulla» per fermarlo se decidesse in questo senso. Il mese scorso gli Usa hanno revocato la “concessione” ad alcuni Paesi, tra cui il Giappone, di non applicare alcune sanzioni: di fatto, ora Washington ha ordinato anche a Tokyo di non comprare più petrolio dall’Iran per non incorrere nell’ampia portata delle sanzioni americane. Il ruolo di Abe non può essere quello di un mediatore, data l’estrema vicinanza della politica estera giapponese con quella di Washington, ma l’interesse del Giappone a mantenere amicizia e rapporti economici con l’Iran ne fa una sorta di “messaggero” tra le due parti a rischio di conflitto. Per alcuni analisti, anche senza prove evidenti, l’Amministrazione Trump punterà il dito contro Teheran. Il pericolo - come ha sottolineato lo stesso Abe agli iraniani - è che un conflitto possa scoppiare in modo non intenzionale, per via di incidenti non voluti. Nel frattempo il presidente iraniano Hassan Rohani, incontrando Vladimir Putin durante il summit dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai in corso a Bishke, ha invitato a «rafforzare i legami» tra Russia e Iran per reggere «alla presenza di forti pressioni esterne».
La reazione dei mercati
Gli attacchi di oggi intendono evidentemente lanciare il messaggio che le rotte di navigazione da e per il Golfo non sono
più da considerare sicure: in questos enso, sono più ancora gravi di quelli avvenuti il mese scorso, nei pressi della costa.
Logico che, al di là delle preoccupazioni sia dei Paesi produttori sia dei Paesi consumatori i cui approvvigionamenti diventano
a rischio, l’impatto sui mercati possa essere considerevole. All’Ice di Londra i contratti di Agosto sul Brent si sono impennati
fino a 62,64 dollari per barile, mentre al New York Mercatile Exchange i future sul Wti sono avanzati del 3,6% sulla soglia
dei 53 dollari. Peraltro ieri i prezzi petroliferi avevano registrato un arretramento del 3-4% sull’onda dei dati sull’aumento
delle scorte Usa. Più in generale, nelle ultime settimana le quotazioni sono arretrate sulla scia delle previsioni di un rallentamento
della crescita economica globale, che ridurrebbe i consumi. Nelle prossime settimane l’Opec dovrebbe fissare la data per
il suo vertice, per decidere i livelli di produzione nella seconda metà di quest’anno, in una riunione che si preannuncia
molto tesa per via dei contrasti tra Iran e Arabia Saudita.
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