Se non si trattasse di un’escalation che minaccia di sfociare in guerra, sarebbe un giallo intricatissimo. «L’Iran è il primo sospettato - titola il quotidiano israeliano Haaretz - ma improbabile». E osserva: «Gli Stati Uniti si sono precipitati a puntare il dito su Teheran, ma nessun servizio di intelligence al mondo è riuscito a scoprire chi ci sia esattamente dietro questo attacco. E anche se lo sapessero, cosa potrebbero fare senza rischiare una guerra mondiale?».
Come spesso avviene quando si arriva al punto in cui le Nazioni Unite invocano un’indagine indipendente, la situazione è disperata. Nello stesso momento in cui si è offerto mediatore, il segretario generale Antonio Guterres ha aggiunto che «al momento non vediamo un meccanismo di dialogo possibile». КIl misterioso attacco di giovedì scorso alle due petroliere in navigazione nel Golfo di Oman coinvolge troppi antagonisti e ha troppi precedenti alle spalle (tra cui altri quattro attacchi in maggio) per finire con un negoziato. Anche se i due nemici principali, l’Iran e l’America, affermano di non avere alcun interesse a cominciare una guerra. Il mondo non può permettersi un grande scontro nel Golfo, supplica Guterres.
Acque tempestose e oggetti volanti
Lo Stretto di Hormuz, crocevia del petrolio, torna nel mirino per la seconda volta in un mese. Che cosa è avvenuto all’alba
del 13 giugno all’entrata del Golfo di Oman? La Front Altair, nave cisterna della norvegese Frontline, trasportava un carico
di nafta diretto a Taiwan. È stata colpita da un missile, o ha incontrato una mina? Tre esplosioni, la nave è finita in fiamme, l’equipaggio trasportato su una nave iraniana. Anche per la seconda petroliera,
la giapponese Kokuka Courageous, in navigazione dall’Arabia Saudita a Singapore con un carico di metanolo, si sospetta una
mina o un missile. Ma anche «oggetti volanti». Lo scafo è danneggiato e gli Stati Uniti (Donald Trump per primo) dicono di
sapere da chi: venerdì la US Navy ha pubblicato un video in cui si distingue un’imbarcazione militare iraniana (le Guardie
Rivoluzionarie?) avvicinarsi a una petroliera, mentre qualcuno a prua cerca di rimuovere un oggetto dallo scafo. Un tentativo
di nascondere l’”arma del delitto”? Teheran declina ogni responsabilità, lasciando capire che qualcuno potrebbe avere interesse
a provocare un conflitto con Washington: basta una scintilla, le relazioni tra iraniani e americani sono esasperate dal ritiro
Usa dell’anno scorso, voluto da Trump, dall’accordo sul nucleare iraniano civile, e dal brusco ritorno delle sanzioni che
strangolano l’economia di Teheran.
La trama delle alleanze
Nell’occhio del ciclone che si è scatenato sul Golfo Persico c’è la storica rivalità tra Iran e Arabia Saudita: da qui si
parte per leggere la trama delle alleanze. La tragedia più grande di questi anni qui è lo Yemen, con i ribelli Houthi sostenuti
dall’Iran in guerra con il regime sostenuto da Riad. Con i sauditi ci sono gli Emirati Arabi Uniti e naturalmente gli Stati
Uniti, con la Quinta Flotta di base in Bahrain e 10mila uomini in Qatar. A cui nel Golfo nelle ultime settimane si sono aggiunte
altre navi da guerra e bombardieri, a contrastare la minaccia di Teheran di rispondere alle sanzioni riprendendo il programma
di arricchimento dell’uranio. Alzando la percentuale per avvicinarsi pericolosamente al punto in cui l’uranio può essere utilizzato
non più per scopi civili, ma in un’arma nucleare.
Lo Stretto delle nebbie
Lo Stretto di Hormuz si ritrova vulnerabile. Sempre più spesso si parla di strade ed energie alternative, di vie della Seta o di rotte artiche... Ma è ancora da questo Stretto che porta le acque del Golfo Persico nell’Oceano Indiano, e il greggio del Medio Oriente ai mercati internazionali, che viaggia un quinto delle forniture di petrolio che servono il mondo. Petrolio saudita, iraniano, iracheno, del Bahrain, del Kuwait, degli Emirati: 18,5 milioni di barili al giorno sono passati di qui nel 2016, 16 milioni attraverso lo Stretto di Malacca, 5 milioni dal canale di Suez. Chi ha interesse a gettare nel caos la navigazione lungo questa rotta del petrolio, vendicando le sanzioni che bloccano il proprio export? In maggio del petrolio venduto dall’Iran - 2,5 milioni di barili al giorno nell’aprile 2018 - sono rimasti solo 400mila barili. Più di una volta Teheran ha avvertito che avrebbe bloccato Hormuz, se le si fosse impedito di vendere il proprio greggio.
L’attacco del 13 giugno coincideva con la presenza a Teheran di un mediatore, il giapponese Shinzo Abe, premier di un Paese che ha bisogno del petrolio iraniano che ora non può più acquistare, per via delle sanzioni Usa. Vogliono fare di noi un capro espiatorio, ripetono a Teheran. A dimostrazione di quanto sia ingarbugliato il quadro e confuse ormai le alleanze anche sul fronte occidentale, la Germania ha fatto sapere che il video mostrato dagli americani non è sufficiente a incolpare Teheran.
L’asse russo-iraniano-cinese (e l’Opec)
La Russia, da parte sua, attacca l’«atteggiamento iranofobico» degli Stati Uniti. E si ritrova sempre più lontana dall’Occidente e sempre più vicina all’Iran, oltre che alla Cina. Proprio venerdì, in Khirgizstan, il summit della Shanghai Cooperation Organization ha visto vicini Vladimir Putin, Hassan Rohani, Xi Jinping. Quanto tempo è passato dagli anni in cui i russi progettavano lo sviluppo dei giacimenti artici progettando di esportare in America. Ora Mosca è a sua volta nel mirino di sanzioni americane che minacciano il suo export di gas, e la Cina sempre più intrappolata nel confronto commerciale con gli Usa: così l’energia e la progettazione di nuove rotte diventa uno dei collanti più potenti tra Mosca e Pechino, Pechino e Teheran, Teheran e Mosca. La settimana prossima, il vertice dei produttori di petrolio dell’Opec sarà chiamato a discutere l’invito saudita a mantenere i tagli produttivi per sostenere i prezzi. I russi, che partecipano all’Opec+, sono combattuti. Una delle ragioni per cui non ritengono sia il caso di ridurre la produzione è la necessità di compensare il petrolio iraniano; ma difficilmente romperanno il fronte collaudato che nella gestione delle quote produttive li lega da qualche tempo ai sauditi.
Lo scenario esplosivo in cui si svolgerà il vertice Opec, tuttavia, rischia di far saltare ogni logica. Mentre chiedersi chi è stato ad attaccare le petroliere colpite potrebbe diventare superfluo, se Washington o Teheran dovessero perdere il controllo delle scintille che agitano la regione. Per avere una verità, sarebbe troppo tardi.
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