Mario Draghi ribadisce e rafforza il messaggio dell’ultima riunione: la Bce è pronta a intervenire con tutti gli strumenti a sua disposizione se l’inflazione resterà al di sotto degli obiettivi, come è ormai quasi certo. Strumenti che includono nuovi acquisti di titoli di Stato, finanziamenti a basso costo alle banche e persino un possibile taglio dei tassi di interesse. Le sue parole hanno fatto scendere l’euro contro il dollaro a quota 1,118 e provocato le critiche di Donald Trump, che con una raffica di tweet ha accusato l’Europa e la Cina di concorrenza sleale sui cambi.
Ampio spazio per un nuovo Qe
«Il programma di acquisto di asset (il quantitative easing, ndr) ha ancora uno spazio considerevole», ha detto il presidente della Bce al simposio delle banche centrali a Sintra in Portogallo. «Ulteriori tagli dei tassi e
misure per mitigare qualsiasi effetto collaterale continuano a far parte degli strumenti a nostra disposizione». «In assenza
di un miglioramento, al punto che sia minacciato il ritorno di un'inflazione sostenibile ai livelli desiderati, sarà necessario
un ulteriore stimolo». Il messaggio non potrebbe essere più chiaro: la normalizzazione della politica monetaria della Bce
dopo 4 anni di stimoli straordinari da 2.600 miliardi potrebbe essere interrotta per fare spazio a nuovi aiuti all’economia europea.
In arrivo trimestri deboli
«Guardando in prospettiva, i rischi per l'outlook rimangono orientati al ribasso e gli indicatori per i prossimi trimestri
puntano a una debolezza persistente», ha aggiunto Draghi nel suo discorso introduttivo al Forum Bce on Central Banking. I
rischi che sono stati presenti per tutto l'ultimo anno - ha aggiunto Draghi - in particolare i fattori geopolitici, la crescente
minaccia del protezionismo e le vulnerabilità dei mercati emergenti, non sono scomparsi e continuano a pesare in particolare
sul settore manifatturiero.
Decisive le «prossime settimane»
«Nelle prossime settimane - ha aggiunto - il Consiglio direttivo delibererà in che modo i nostri strumenti possono essere adattati alla severità del
rischio sulla stabilità dei prezzi. Manteniamo la capacità di rafforzare la nostra forward guidance modificando la sua condizionalità
per tener conto delle variazioni negli aggiustamenti del percorso di inflazione». Questo si applica, ha detto, a tutti gli
strumenti di politica monetaria.
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Trump accusa Draghi: competizione sleale sui cambi
Il discorso di Draghi non è piaciuto a Donald Trump che, come sua consuetudine, lo ha criticato via twitter: «Mario Draghi
- ha scritto - ha appena annunciato nuovi stimoli in arrivo, cosa che ha immediatamente fatto scivolare l’euro contro il
dollaro, rendendo più facile la concorrenza sleale delle aziende europee contro quelle americane. Sono andati avanti così
per anni, come la Cina e altri». Con successivi tweet il presidente americano ha poi registrato l’ottimo andamento dei mercati
europei nella giornata di oggi, definendolo «unfair» (ingiusto) per gli Stati Uniti.
Dopo le parole di Draghi l’euro in effetti è sceso sotto quota 1,12. Tuttavia, nell’ultimo anno si è svalutato di poco più del 3% sulla valuta americana e si trova più o meno allo stesso livello di 3 anni fa.
Messaggio anche per Powell
Le parole di Trump in realtà non sono rivolte solo alla Bce, ma anche - e forse soprattutto - alla Federal Reserve di Jerome
Powell, da tempo nel mirino del presidente americano per i rialzi dei tassi d’interesse. Proprio mercoledì la banca centrale
annuncerà le sue decisioni e potrebbe aprire a un prossimo taglio del costo del denaro.
Draghi a fine mandato
Mario Draghi è negli ultimi mesi della sua presidenza, in scadenza a fine ottobre dopo 8 anni. Per la sua successione circolano diversi nomi ma ancora non è emerso un candidato favorito sugli altri. La partita della
Bce si incrocia infatti con altre nomine cruciali, come quella del presidente della Commissione europea e del presidente del
Consiglio europeo.
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Più stimoli di bilancio nei Paesi che possono permetterseli
Draghi ha poi mandato un messaggio ai Paesi con i conti pubblici in ordine, chiedendo che vengano adottate misure di stimolo.
«Anche la politica di bilancio deve fare la propria parte. Nel corso degli ultimi 10 anni, il peso delle aggiustamenti macroeconomici
è caduto in maniera sproporzionata sulle spalle della politica monetaria. Abbiamo anche visto - ha detto - casi in cui la politica fiscale è stata pro-ciclica ed è andata nel senso contrario allo stimolo monetario. Se il mix squilibrato di politiche macroeconomiche nell'area dell'euro spiega in parte lo scivolamento in disinflazione,
allo stesso modo un migliore mix di politiche può aiutare a mettervi fine».
LIVE: Mario Draghi, President of the ECB, opens the second day of the #ECBForum on Central Banking #EUROat20 https://www.pscp.tv/w/b9iTODF6dktOcHJacXB5RWV8MVprS3pyeVhiYXdLdnl6SG07jP12YBkz0GJMUwaukCxhfWLfTHisMCPu6gSq
– European Central Bank(ecb)
Eurozona sempre più integrata
Per Draghi è anche tempo di bilanci sulla moneta unica. «L'euro - ha detto - è stato introdotto venti anni fa al fine di isolare il mercato unico da crisi valutarie e da svalutazioni competitive che minacciavano la sostenibilità dei mercati. Era anche un progetto politico che, basandosi sul successo del mercato unico, avrebbe portato a una maggiore integrazione dei suoi Stati membri. In entrambi
i casi, la visione dei nostri antenati ha ottenuto buoni risultati - ha detto Draghi - Immaginate dove sarebbe il mercato
unico oggi, dopo la crisi finanziaria globale e a fronte del crescente protezionismo, se tutti i paesi europei fossero stati
liberi di adeguare i loro tassi di cambio. Invece, le nostre economie si sono integrate, sono diventate convergenti e hanno affrontato la più grave sfida dalla Grande Depressione». In questi 20 anni, ha osservato
Draghi, è aumentata la convergenza fra i paesi membri e si è ridotta sensibilmente dal 1999 al 2014 la dispersione dei tassi
di crescita. Questo è avvenuto in buona parte anche in virtù dell'approfondimento delle catene del valore europee, con i paesi dell'Unione Monetaria ora significativamente più integrati tra loro rispetto agli Stati Uniti o la Cina al resto
del mondo.
Completare la costruzione dell’euro
«La maggior parte dei paesi dell'Unione monetaria - ha detto Draghi - esportano più tra loro che con Stati Uniti, Cina o Russia».
Inoltre l'occupazione nell'area dell'euro ha raggiunto livelli record e in tutti i paesi dell'area dell'euro tranne uno supera
il livello del 1999. «Tuttavia le persistenti debolezze istituzionali della nostra unione monetaria non possono essere ignorate
se non a rischio di danneggiare seriamente ciò che è stato realizzato. La logica suggerirebbe che quanto più le nostre economie
saranno integrate, tanto più veloce dovrebbe essere il completamento dell'unione bancaria e dell'unione dei mercati dei capitali».
Risposta alla crisi con politiche di bilancio restrittive
Draghi ha infine ripercorso la risposta dell’Europa alla drammatica crisi finanziaria e poi economica esplosa dopo il 2008.
Tra il 2011 e il 2013, ha detto, la politica di bilancio europea è stata restrittiva in ragione soprattutto «del bisogno di alcuni paesi di ristabilire la credibilità fiscale». «La politica di bilancio dell'Eurozona è divenuta restrittiva in risposta alla crisi del debito - ha detto Draghi - con
una stretta di circa 4 punti percentuali del Pil potenziale fino al 2013, anni in cui l'eurozona è rimasta per la maggior
parte in recessione». Questa risposta è stata opposta a quella data dagli Stati Uniti dove invece la politica fiscale è stata
più accomodante nella fase iniziale della crisi nel 2008-09, in misura di circa il 6,5% del pil potenziale, per poi restringersi
a circa il 5,5% del pil potenziale dal 2011 al 2013 quando la ripresa economica era già in atto. «L'eurozona à stata costretta
su un percorso diverso dal bisogno di alcuni paesi di ristabilire credibilità fiscale - ha detto Draghi - ma in aggregato
l'Eurozona non aveva meno spazio fiscale degli Stati Uniti: i livelli del debito pubblico erano simili nelle due giurisdizioni. La differenza chiave è stata che la stabilizzazione
fiscale negli Usa è avvenuta a livello federale mentre l'eurozona non disponeva di uno strumento fiscale centrale per agire
in maniera anti-ciclica».
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