Forse non è stato il più grande calciatore di tutti i tempi. Anzi, togliamo il forse: Michel Platini rientra senza dubbio in una Top 10 «all time» del calcio ma non ha mai neanche sfiorato il ballottaggio Pelé-Maradona. Il discorso, tuttavia, è un altro: il numero 10 di Francia e Juventus, fermato per una faccenda di corruzione legata all’organizzazione dei Mondiali di Qatar 2022, è stato sicuramente il giocatore più intelligente di tutti i tempi. In campo e fuori. Impareggiabile senso della posizione e formidabili doti di assist-man ne hanno fatto un fuoriclasse assoluto. Dello sport prima, della politica poi.
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Genio e regolarità
Se da qualche parte nella Silicon Valley qualcuno elaborasse uno speciale algoritmo per mettere in relazione carriera agonistica
e parabola professionale post agonistica di ogni atleta, Platini se la giocherebbe probabilmente soltanto con George Weah che, da centravanti del Milan anni Novanta, è diventato addirittura presidente della sua Liberia. Ma in campo Le Roi è stato molto più decisivo: tre Palloni d’oro a certificare le vittorie all’Europeo, in Coppa dei Campioni, Coppa delle Coppe
e ci fermiamo qui, per quanto la lista potrebbe essere ancora più lunga. Una carriera impressionante, la sua, ma a impressionare
è ancora di più la lucidità con la quale ha saputo gestirla. Mai un passo in più del dovuto: in ogni gesto la stessa precisione
chirurgica di quando tirava un calcio di rigore. In ogni parola un raro senso della misura: «Sono francese e mi sento tale.
Stimo l’Italia, ma io non sono italiano», diceva ancora 23enne, prima di una partita con la Nazionale della sua terra d’origine.
Genio e regolarità.
Tre squadre per un fuoriclasse
Arriva dalla Lorena, regione di confine e grandi traffici, da una famiglia italiana (suo nonno era un muratore di origini
novaresi) che nella nuova patria ha cominciato a salire la scala sociale (suo padre insegna matematica con la passione per
il calcio). La sua via per l’affermazione si chiama campo di gioco, un terreno sul quale conta pochi rivali. Cambia ancora
meno squadre: «Ho giocato nel Nancy perché era la mia città, nel Saint-Étienne perché era la migliore in Francia e nella Juventus
perché è la migliore al mondo», dirà dopo il ritiro. Parole che denotano rara stoffa da leader.
Il capolavoro del ritiro a 32 anni
Il ritiro, appunto: un capolavoro. Platini è del 1955, con la sua Francia sfiora per due volte la vittoria del Mondiale nel
1982 (quarto) e nel 1986 (terzo). Quell’anno è all’apice della sua parabola sportiva e vede trionfare l’Argentina guidata
da un ragazzo di cinque anni più giovane. Nella stagione calcistica successiva quello stesso ragazzo, con il Napoli, gli scucirà
lo scudetto dal petto. È il 1987 e un Platini appena 32enne sceglie di ritirarsi, se ne va quando avrebbe ancora tanto da
dare perché punta sempre all’eccellenza, non gli va di fare il comprimario.
La parentesi da allenatore e Francia ’98
Si butta a fare l’allenatore, imbocca la corsia preferenziale riservata ai grandi campioni e finisce sulla panchina della
Nazionale francese ma è probabilmente la cosa che in carriera gli riesce peggio: buca la qualificazione a Italia ’90, esce
nella fase a gironi dall’Europeo del ’92 e allora alza bandiera bianca. È quasi una fortuna: Platini prende infatti le redini
del comitato organizzatore dei Mondiali di Francia ’98. Mette a capitale tutto il bagaglio di credibilità e il sistema di
relazioni costruitosi da atleta e tecnico. Tutto funziona alla perfezione al di là delle Alpi, persino Zinedine Zidane che
regala a Les Bleus la prima Coppa del Mondo della loro storia.
Mr. Fairplay va all’Uefa
Da quel preciso momento la sua carriera «politica» non si ferma più: è prima vicepresidente della Federcalcio francese (2001-2008),
poi sale sul treno di Sepp Blatter ed entra nell’esecutivo della Fifa (2002). Nel 2007 centra la prima delle tre elezioni
consecutive alla guida dell’Uefa. Politicamente si muove su due binari: da un lato garantire alle squadre vincitrici dei campionati
minori il diritto a qualificarsi per la fase a gironi autunnale della Champions, dall’altro assicurare il fair play finanziario
dopo la fortunatissima epoca del «paga Pantalone». Un sistema che si basa sul consenso e che crea consenso. Fino a quando,
nel 2015 in Fifa, crolla la grande architettura di Blatter e le macerie travolgono pure Le Roi: Platini si ritrova incriminato dalla magistratura svizzera per aver percepito illegalmente dall’eterno presidente Fifa 2
milioni come compenso per consulenze effettuate tra il 1999 e il 2002. Nel 2016 sceglie di dimettersi per quanto, due anni
più tardi, arriverà un’assoluzione definitiva.
Il senso di «Le Roi» per la politica
Platini non ha dubbi: è stata tutta una macchinazione per porre bruscamente fine a una parabola dirigenziale destinata ai
vertici del calcio mondiale. Tutta una roba politica, insomma. Vedremo come andrà stavolta, con le accuse che gli arrivano
dalla madrepatria a proposito dell’organizzazione del più controverso Mondiale di calcio della storia. Vedremo cosa dirà alla
fine del fermo. Lui che, a proposito della politica, ha sempre detto: «Dovrebbe essere come la Nazionale: dovrebbero sempre
giocare i migliori. Ma non è mai così, in nessuna parte del mondo».
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