Aumento dei salari in cambio del taglio delle imposte sulle società. Il primo ministro olandese Mark Rutte minaccia di bloccare
la riduzione dal 25% al 20,5% dell'imposta sulle società entro il 2021 se le multinazionali presenti nei Paesi Bassi non
aumenteranno i salari dei lavoratori.
Le imposte societarie sono diventate un tema politico molto caldo in Olanda soprattutto dopo le rivelazioni del mese scorso
sul trattamento di favore ricevuto da molte società multinazionali presenti nel paese, tra cui Shell e Philips, che nel 2018
non hanno pagato imposte o ne hanno versate in percentuali esigue.
Rutte, il cui Partito popolare per la libertà e la democrazia (Vvd) di centro-destra è tradizionalmente favorevole alle imprese
ma sta perdendo popolarità anche a causa della stagnazione dei salari, ha preannunciato la possibile svolta - giunta del tutto
inattesa - sabato scorso al congresso del suo movimento. Il premier olandese ha precisato che il previsto taglio delle tasse
potrebbe non avere più senso.
«Penso che le cose debbano cambiare, penso che i salari debbano salire di più - ha detto -. Non citerò alcuna percentuale
ma se considero quale aumento delle retribuzioni i Ceo stanno ottenendo, questa è la direzione che si potrebbe pensare di
prendere».
Molti elettori olandesi lamentano che la crescita economica (+1,7% su base annua nei primi tre mesi del 2019) non si traduce
in un miglioramento del tenore di vita. I redditi disponibili sono aumentati solo di poco durante il governo Rutte mentre
i salari e le pensioni si sono fermati alimentando scioperi da parte di insegnanti, lavoratori dei trasporti e altre categorie
di dipendenti.
Secondo il primo ministro, la riluttanza delle grandi società ad aumentare i salari rappresenta una sfida per il sistema olandese,
in cui i lavoratori hanno fatto sacrifici in periodi in cui l'economia era debole. «Se le aziende non aumentano le retribuzioni
proporrò di verificare se continuare a ridurre il tasso di imposizione sulle società», ha detto Rutte.
L'attuale imposta sui profitti aziendali prevede due aliquote del 20% e del 25%, e dovrà essere ridotta - secondo i progetti del governo - al 15% e al 20,5% (per profitti superiori a 200mila euro) nei prossimi anni. Il dibattito politico sui salari e sui trattamenti di favore concessi alle grandi multinazionali si è infiammato negli ultimi mesi. Sindacati, economisti e la stessa Banca centrale olandese hanno chiesto retribuzioni più alte.
Sotto accusa nelle ultime settimane è finita soprattutto la multinazionale anglo-olandese Shell. Secondo un'analisi di Somo
(il centro di ricerca sulle multinazionali con sede ad Amsterdam), infatti, l'Olanda avrebbe rinunciato a 893 milioni di euro
di tasse all'anno in forza di un accordo fiscale stipulato nel lontano 2004 tra la compagnia petrolifera e il governo dei
Paesi Bassi.
Le casse olandesi avrebbero perso dal 2005 al 2017 circa 7 miliardi di euro di tasse, che secondo il report di Somo potrebbero
salire a 22,8 miliardi nei prossimi dieci anni. Risorse ingenti che avrebbero fatto comodo per migliorare i servizi, a partire
da quelli sanitari, dell'istruzione e della sicurezza, che in questo momenti sono in grande sofferenza.
Nel 2018 il professore di diritto tributario dell'Università di Amsterdam, Jan van de Streek, ha concluso che l'accordo tra Shell e Stato è molto probabilmente in violazione della legge olandese sui dividendi e l'eurodeputato Paul Tang (PvdA) ha presentato una denuncia alla Commissione europea.
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