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Trump: «150 morti? Troppi. Così ho annullato l’ordine di attacco all’Iran»

Quel che resta del drone. Il generale iraniano Amir Ali Hajizadeh mostra alla stampa il presunto velivolo americano abbattuto
Quel che resta del drone. Il generale iraniano Amir Ali Hajizadeh mostra alla stampa il presunto velivolo americano abbattuto

Si sarebbe rischiata la morte di 150 persone, troppe. Per questo motivo, nella notte tra giovedì e venerdì Donald Trump ha annullato all’ultimo minuto l’ordine di attacco con cui avrebbe voluto rispondere all’abbattimento di un drone americano da parte dell’Iran.

Drone che volava sopra acque internazionali, ha twittato il presidente: «La notte scorsa - ha spiegato Trump - eravamo pronti a partire per attaccare tre diversi siti. A quel punto ho chiesto, quanti moriranno? Centocinquanta, signore, mi ha risposto un generale. Dieci minuti prima dell’attacco, l’ho fermato. Sproporzionato all’abbattimento di un aereo senza pilota». Secondo quanto scrive ora il presidente americano, dunque, il modo per impedire che l’Iran acquisisca la capacità di sviluppare armi nucleari è lasciare che le sanzioni facciano effetto sull’economia. «Non ho fretta», ha detto ancora, senza però escludere la possibilità di raid nel futuro. Il timore di un confronto Stati Uniti-Iran spinge al rialzo i prezzi del petrolio, con il Brent che a Londra ieri guadagnava l’1,24% per salire a 65,25 dollari il barile.

I rischi per l’aviazione civile
All’alba di venerdì, la notizia dell’attacco annullato, contro radar e postazioni missilistiche iraniani, era stata data dal New York Times. Poco prima la Federal Aviation Administration, citando l’aumento delle attività militari e delle tensioni politiche nella regione, aveva emanato un ordine urgente vietando alle compagnie aeree americane di entrare nello spazio aereo controllato dall’Iran sul Golfo Persico e sul Golfo di Oman: indicazione subito seguita anche da British Airways, Lufthansa, KLM, Qantas, Emirates, Singapore Airlines e Malaysia Airlines, che hanno riprogrammato le proprie rotte. Secondo fonti del Pentagono, gli Stati Uniti sarebbero stati colti di sorpresa dalle capacità dimostrate dagli iraniani, che hanno lanciato un missile terra-aria fino a più di 18mila metri di altezza.

Come leggere la marcia indietro di Trump? Reale volontà di fermare un’escalation troppo pericolosa, o il riflesso di un’amministrazione divisa e confusa? Le fonti del New York Times parlano di una giornata intensa di dibattiti e discussioni alla Casa Bianca, un braccio di ferro tra i “falchi” - il segretario di Stato Mike Pompeo, il consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton, il capo della Cia Gina Haspel - e i leader del Congresso, che sostengono che il presidente debba consultarsi con i deputati prima di passare all’azione. Anche diversi alti ufficiali del Pentagono avrebbero invitato alla cautela, preoccupati per i rischi che corrono le forze americane nella regione.

Un messaggio per Khamenei

L’agenzia Reuters, citando fonti iraniane, riferisce di un messaggio inviato venerdì da Trump: pur minacciando un attacco imminente, il presidente americano si dice contrario alla guerra, e propone colloqui su diversi fronti. «Ci ha dato pochissimo tempo per rispondere», dicono le fonti, spiegando di aver mandato a dire che la risposta spetta solo alla Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei. «Che è contrario a ogni negoziato. Ma che avrebbe ricevuto il messaggio».

Un secondo aereo?
Washington e Teheran continuano a scambiarsi accuse e versioni contrastanti di quanto avvenuto il 20 giugno: il drone, insistono gli iraniani, aveva violato il loro spazio aereo. Inoltre, secondo il generale Amir Ali Hajizadeh, responsabile della divisione Aeronautica delle Guardie Rivoluzionarie, accanto al drone (un RQ-4A Global Hawk della Marina americana che volava a 18.300 metri di altezza, costo 130 milioni di dollari) si trovava anche un aereo-spia americano. Con 35 uomini a bordo: gli iraniani avrebbero deciso di non metterlo nel mirino, dice il generale, «malgrado fosse un nostro diritto farlo».

A questo riguardo, il Comando centrale Usa non ha ancora fatto commenti. All’ambasciatore svizzero a Teheran, che rappresenta gli interessi degli Stati Uniti nel Paese, le autorità iraniane hanno consegnato una lettera di protesta mentre da Riad Brian Hook, inviato speciale degli Usa per l’Iran, ha dichiarato che «la nostra diplomazia non dà all’Iran il diritto di rispondere con la forza militare: l’Iran deve rispondere a diplomazia con diplomazia».

L’imbarazzo dell’Europa
Un richiamo a entrambe le parti a fare un passo indietro, e a cercare una soluzione politica viene anche dal Consiglio dei leader europei, riuniti a Bruxelles. La crisi iraniana e le tensioni con gli Stati Uniti hanno gettato l’Europa in una posizione estremamente delicata, perché firmataria degli accordi sul nucleare raggiunti con Teheran nel 2015: ora che gli Stati Uniti li hanno rinnegati, l’Europa è rimasta la sola a tenerli in vita. Ma ora gli iraniani minacciano di violarli, se i Paesi europei non saranno in grado di proteggere la loro economia dalle nuove sanzioni americane che prendono di mira l’export di petrolio e si propongono di isolare Teheran dal sistema finanziario globale.

Per cercare di salvare l’accordo - che in cambio di un allentamento delle sanzioni impegna l’Iran a ridimensionare il proprio programma nucleare circoscrivendolo all’ambito civile - i Paesi firmatari rimanenti (Francia, Germania, Gran Bretagna, Cina e Russia) si incontreranno con funzionari iraniani a Vienna il 28 giugno prossimo. Trump sostiene che i termini dell’accordo non sono abbastanza rigidi.

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