La Aston Martin DBS poteva correre il rischio di non essere troppo simpatica agli appassionati italiani: le continue punzecchiature ad una delle più amate beniamine italiche, la Dino 246 di Tony Curtis, nella sigla iniziale dei telefilm della serie «Attenti a quei due!», sono infatti rimaste impresse nella nostra memoria come uno dei più smaccati trucchi cinematografici in campo automobilistico. Questo perché la grossa Gran Turismo britannica, come il suo “pilota” Roger Moore, pur potendo contare sui 282 CV sviluppati dal suo sei cilindri da quattro litri, quasi novanta più della Dino, pesava circa sedici quintali contro gli undici della nostra guizzante “Ferrarina”; aggiungendo i venti chili sicuri in più che Moore pesava rispetto a Curtis, ecco che la sostanziale parità prestazionale nelle strette stradine monegasche perdeva ogni credibilità.
E pur rimanendo, la DBS, una signora Gran Turismo comoda e sufficientemente veloce, anche l’Aston Martin sapeva che le sue dimensioni enormemente superiori a quelle della DB6 che andava a sostituire, avrebbero dovuto essere spinte da qualcosa di più sostanzioso. E infatti un nuovo motore V8, tutto in alluminio per non gravare ulteriormente sul peso, era già allo studio da anni proprio per fare il suo debutto sulla DBS; problemi di messa a punto lo ritardarono però fino al 1970, quando la vettura era già in listino da tre anni, durante i quali si era cercato di far fronte alla delusione della clientela attraverso la commercializzazione della versione “Vantage” con la potenza del sei cilindri portata a 325 CV: troppi per il vetusto 4.0 che, così spremuto, perdeva gran parte della sua fluidità; troppo pochi per coloro che, alla guida di una Aston Martin, dopo aver speso una cifra scandalosa per acquistarla, non volevano essere neppure sfiorati da certa “plebaglia” al volante di minuscole auto sportive continentali.
Si tenga conto al proposito che nel 1970, poco prima di uscire di produzione, la DBS Vantage costava, sul mercato italiano, 10.800.000 lire contro, per esempio, gli 8.150.000 della Lamborghini Miura S ed i 5.500.000 ( poco più della metà) della Dino 246 GT, tanto per tornare alla macchina di Tony Curtis. Ma è proprio, come detto, nel corso di questa annata che, pur a fronte di un ulteriore aumento di prezzo (…e ci mancherebbe!) fino alla fantasmagorica cifra di 14.200.000 lire, debutta la DBS V8, finalmente in grado di muoversi sulle strade con l’autorevolezza che il suo status richiede.
Con una cubatura di 5,3 litri alimentati ad iniezione, i CV disponibili aumentano a 345 e sono erogati con molto minore sforzo così da proiettare la grossa GT ad oltre 260 all’ora e ad accelerarla da 0 a 100 in 6 secondi; sotto l’aspetto prestazionale siamo ora, quindi, ai vertici mondiali e il nuovo modello se la può vedere alla pari con vetture molto meno confortevoli e spaziose. Vertici cui la DBS era sempre appartenuta per lo stile e l’eleganza: opera prima di William Towns, che poi vestirà per la Aston Martin anche la spettacolare Lagonda a quattro porte, possiede grande armonia stilistica e magnifiche proporzioni da vera regina delle autostrade; qualche critica, sulla quale concordiamo, venne rivolta solamente al frontale dove la classica calandra della Casa assume dimensioni forse esagerate inglobando perfino i fari.
Probabilmente se ne resero conto anche a Newport Pagnell, visto che l’unico intervento stilistico che misero in atto sul nuovo modello del 1973, chiamato, con grande sforzo di fantasia, V8, fu nel frontale: calandra più piccola e fari, ridotti da quattro a due, posti esternamente e leggermente arretrati rispetto ad essa. Linea ora perfetta, ma motore tornato insufficiente poiché la sua trasformazione a carburatori, per una migliore facilità di gestione, ne aveva ridotto la potenza a 320 CV ed il peso della macchina era aumentato di oltre cento chili. Si dovette provvedere e nacque così, nel 1974, la V8 Vantage con motore potenziato a 390 impetuosi CV e cambio a cinque marce per la soddisfazione di tutti. Del 1976 è la presentazione della cabriolet “Volante”, disponibile con ambo i motori, mentre dal 1980 le leggi anti inquinamento imposero il ritorno all’iniezione, questa volta elettronica.
Fino al 1990, quando lascia il posto alla “Virage”, erano state prodotte circa 800 DBS e 4.000 V8: un’auto molto esclusiva, quindi, che ha sempre avuto quotazioni correlate a questo fatto, oltre che al blasone del Marchio; tuttavia, soprattutto le sei cilindri, sono tra le Aston Martin meno care: attorno ai cento/centoventimila Euro (anche il doppio però per un V8 Volante). Una tentazione alla quale, qualora si trovasse un’esemplare con la guida a sinistra, riteniamo sia difficile, oltreché ingiusto, resistere; tenendo sempre però presente, ci raccomandiamo, che i costi di mantenimento sono commisurati al suo prezzo da nuova e non a quello attuale.
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