Iniziamo la serie delle tante ricorrenze che questo 2018 porta con sé con quella riguardante questa incredibile icona del motorismo mondiale che, unico veicolo nella storia, è rimasta in produzione per sessantasette anni conservando pressoché inalterati sia l’aspetto, sia le caratteristiche di base. D’altro canto, se la Land Rover fosse un essere umano avrebbe senz’altro vinto il Nobel e, se il regolamento di quel famoso Premio lo avesse consentito, ne avrebbe vinti probabilmente più di uno: senz’altro quello per la cultura, per il contributo di conoscenza al genere umano che hanno portato le escursioni in luoghi inesplorati che questo mezzo ha consentito; e poi noi la avremmo candidata anche per la pace e per la medicina, grazie, in questi casi, agli aiuti umanitari ed ai soccorsi sanitari che hanno potuto raggiungere le loro destinazioni a bordo di una di esse, che mai hanno mancato di assecondare tutti gli eroici protagonisti di queste vicende.
Ma veniamo alle origini della Land Rover per segnalare un altro record che questa macchina detiene: il minore periodo di sviluppo intercorrente dalla prima idea di produzione alla sua commercializzazione: solo poco più di un anno. In questo incredibile dato vi è però un trucchetto: il suo primo prototipo è stato assemblato su di un telaio di una Jeep Willys residuato bellico che, prima di collassare sotto il peso delle sue impietose mansioni, prestava servizio nell’azienda agricola di Maurice Wilks, allora direttore tecnico della Rover: una premiata Casa costruttrice di compassate berline, esempio di lusso non ostentato accompagnato a brillanti prestazioni.
Al momento delle prime consegne, nell’estate del 1948, tutto era però costruito in casa con il raro e prezioso acciaio del Regno Unito del secondo dopoguerra riservato agli scatolati dello chassis, mentre tutti i pannelli della carrozzeria erano realizzati in alluminio Birmabright disponibile invece in abbondanza nei relitti degli aeroplani militari ormai dismessi; a testimonianza di ciò il colore verde pallido di tutto il primo lotto di Land: quello dell’interno delle fusoliere. Il successo di questo mezzo fu subito strepitoso e cominciò così una cavalcata commerciale che continua ancora oggi, con gli ultimi esemplari prodotti nel 2015 che vengono, a distanza di ormai tre anni, scambiati a prezzi a volte superiori a quello da nuovi.
I miglioramenti sul prodotto, nel caso della Land Rover, furono si può dire quasi quotidiani durante tutta la sua lunga vita, ma le tappe evolutive fondamentali, quasi sempre condivise dalle due versioni con cui è sempre stata proposta (passo corto o lungo) sono molte meno e ci pare opportuno ricordarle: nel 1957 il primo motore Diesel si affianca al tradizionale a benzina; nel 1969 i fari si spostano sui parafanghi; nel 1971, con la terza serie, la calandra diventa di plastica mentre lo stesso materiale riveste la plancia.
Nel 1983 novità clamorose: frontale piatto, parabrezza unico, interni più lussuosi con finestrini abbassabili, trazione integrale permanente, cambio a cinque marce e molloni al posto delle balestre; nel 1987 nasce la versione Turbodiesel che regala alla versione a gasolio 19 benvenuti CV aggiuntivi; nel 1990 un nuovo nome, Defender, che l’accompagnerà fino alla fine, un nuovo motore a gasolio a iniezione diretta e la possibilità di scegliere un paio di versioni con passo ancora più lungo: 130 pollici.
Del 2006 gli ultimi interventi: tutti i sedili fronte marcia, cerchi in lega, cambio a sei marce, plancia automobilistica; è a questo punto che la Land Rover comincia a diventare un oggetto di moda, un fenomeno via via accentuantesi fino alla fine dei suoi giorni e concretizzatosi con un vero e proprio assalto alle ultime versioni celebrative, invero molto affascinanti. Ciò ha portato con sé la conseguenza che, rappresentando l’unico mezzo di locomozione per molti di questi acquirenti, capita di incontrare Land Rover in autostrada, il che è un po’ come vedere una Lamborghini Aventador su di una mulattiera; se non amate il fuori strada duro, ove esse non hanno rivali, questi sono mezzi si possono godere in campagna, su lente strade secondarie, o, ancor meglio, in città: ma sono troppo rumorose, lente e rigide per affrontare lunghe trasferte ad alta velocità.
Cercatele e conservatele amorosamente come seconda o terza vettura di famiglia, da usare nelle circostanze appena descritte con il piacere aggiuntivo di muovervi su di un mezzo di riconosciuta eleganza, di robustezza leggendaria e di sicura rivalutazione, soprattutto se avete avuto la avvedutezza di dotarvi di una serie speciale. E non dimenticate di battezzarla: dopo la «Huey» (la prima Land di serie), le «Aziza» (le compagne dell’esploratore Nino Cirani) e «Pollyanna» (dell’esploratrice Barbara Toy) anche la vostra andrà così, idealmente, ad aggiungersi all’album dell’irripetibile storia di questa automobile.
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