L’anniversario di storicità, i fatidici vent'anni accomunano, in questo caso, un modello e la propria Casa costruttrice; poi è chiaro che l’edificazione dello stabilimento e tutto il processo di ricerca e sviluppo del primo prodotto, è da datarsi gioco forza qualche anno indietro ancora. Ma chi mai, prima di quel Salone di Ginevra del 1999, aveva sentito parlare della Pagani? Magari del fondatore, l’argentino Horacio Pagani, qualcuno sì: in effetti aveva lavorato per qualche tempo alla Lamborghini Automobili dove, sulla vettura laboratorio «Countach Evoluzione», si era fatto un’esperienza di primissimo livello sull’impiego dei materiali compositi nelle automobili, ma poi pochissimi sapevano che si era messo in proprio fondando la Modena Design, che stava costruendo una fabbrica a San Cesario sul Panaro (MO) e che avrebbe presto stupito il mondo degli appassionati con qualcosa di inedito.
E così, quando si tolsero i veli sulla Pagani Zonda C12, in occasione del Salone citato all’inizio, le esclamazioni di meraviglia si sprecarono sia da parte del pubblico presente, sia da parte dei giornalisti che ebbero la fortuna di provarla; inizialmente questa supercar battezzata con il nome di un vento proveniente dalle Ande argentine era equipaggiata con un motore V12 6 litri tutto in alluminio di origine Mercedes Benz: in sostanza lo stesso che equipaggiava i modelli V12 di serie con la potenza elevata da 394 a 430 CV mediante una messa a punto più accurata e meno vincolata dalle norme anti inquinamento, data la piccolissima dimensione del Costruttore.
Pochi si stupirono invece di come riuscì Pagani a procurarsi un motore della Stella, nonostante la proverbiale ritrosia di questa Casa a consentire ad altri il godimento del proprio superbo livello tecnologico; chi era appena addentro alle cose di auto sapeva infatti dell’amicizia di Horacio con Juan Manuel Fangio, la cui società era la distributrice di Mercedes Benz in tutta l’America Latina. Con questa credenziali risultò possibile ottenere la fornitura di un motore che ha, indubbiamente, affrancato gli uomini della Pagani da tutta una serie di sperimentazioni costosissime e molto lunghe, consentendo loro di concentrarsi dove meglio sapevano e cioè sul telaio: una robustissima e leggera cellula centrale in fibra di carbonio supportante due telai in tubi rotondi di cromo molibdeno incaricati di sostenere le parti meccaniche, il tutto avviluppato da una carrozzeria, sempre in fibra di carbonio, di impostazione quasi corsaiola.
Le corse però non erano la missione di questa nuova supercar e quindi, oltre ad offrire un confort di marcia inaspettato, sulla Zonda si trovava spazio per due valigie di dimensioni normali accanto al motore in due cofani costruiti in fibra di carbonio: per un fine settimana in coppia, insomma, non mancava nulla. Si faceva un po’ fatica a passare inosservati, questo è certo, poiché il design della Zonda C12, sviluppato totalmente da Horacio Pagani in persona, è molto simile a quello di un prototipo Gruppo C pur non trascurando, come spesso accade su questo tipo di macchine, la necessaria visibilità, assicurata dall’abitacolo a cupola, e la definizione anche dei più minuti particolari con grande attenzione al loro design: alla fine un’automobile allo stesso tempo tecnologica e romantica come il suo creatore; per inciso il C, prima del 12 relativo al frazionamento del motore, è l’iniziale di Cristina: sua moglie.
Presto si sparge la voce che la macchina è un capolavoro e chi può permettersela si mette in una lista d’attesa che in breve tempo si allunga oltre l’anno, dato che la produzione è artigianale che di più non si può e tutte le fasi di lavorazione vengono seguite con rigore maniacale; quello che sembrava il sogno di un folle appassionato si era trasformato, quindi, in brevissimo tempo, in una solida realtà produttiva ed era quindi tempo di pensare alle evoluzioni del prodotto. Un anno dopo la C12 fu la volta della Zonda S con motore portato a sette litri e preparato dalla AMG; i CV balzano a 542 e, con il nuovo cambio a sei marce progettato in Pagani, si raggiungono i i 350 km/h ed i duecento all’ora in dieci secondi netti; sarà poi la volta della Roadster nel 2003 e di una serie infinita di varianti sempre più gradite da una clientela che ormai non la considera più un’automobile ma un’opera d’arte quale in effetti è.
Oggi trovare una Pagani del 1999, quindi storica, in vendita è impossibile poiché in quell’anno ne sono state costruite solo tre e sono servite in fabbrica; se accettaste, però, di pazientare un altro anno, nel 2000 ne hanno fatte diciassette e un’esemplare in vendita può anche capitare (anche se attualmente non ce n’è neanche uno). Se ve lo potete permettere non esitate un attimo: si tratta di uno struggente simbolo di una delle ultime e più entusiasmanti avventure di una storia che sembra stia per finire, quella dell’auto quale l’abbiamo sempre conosciuta.
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