In un Paese che ha eletto il “pezzo di carta” a suo mito fondante, poteva il canone Rai sfuggire alle grinfie della burocrazia? Ovviamente no. E così, per un intreccio tra due articoli del Codice civile – il 2946 e il 2948 – l’addebito del canone nella bolletta elettrica allunga da cinque a dieci anni il tempo per il quale bisogna conservarla, in ossequio alla prescrizione decennale prevista per i tributi. Invece, per le bollette normali, senza addebito del tributo, resta il termine di cinque anni.
“Per le bollette normali, senza addebito del tributo, resta il termine di cinque anni”
Altro che postulato di Lavoisier! Il principio fondamentale della burocrazia è che “tutto si conserva e nulla deve essere distrutto”.
Di fatto, le regole da seguire sono ancora quelle varate nel 1942 con il Codice civile. Quando – per intenderci – si copiavano i documenti con la carta carbone e in catasto si depositavano le planimetrie disegnate a mano.
D’altra parte, ancora oggi l’originale cartaceo ha un valore superiore a qualsiasi copia. E pensare che ormai anche le stampanti più economiche incorporano uno scanner che consente di generare copie digitali di qualsiasi ricevuta, bolletta o scontrino... Copie che poi possono essere archiviate gratis su internet, in cloud o su chiavette Usb e memorie esterne.
Il problema, comunque, non si pone solo per il canone Rai, ma per tutti i documenti che vanno a gonfiare cartelline e faldoni nelle librerie di casa. Il record di longevità, in questa non invidiabile classifica, spetta alle fatture e alle ricevute dei bonifici per le detrazioni fiscali legate ai lavori in casa: ristrutturazioni, risparmio energetico e acquisto di mobili.
Prendiamo una spesa sostenuta nel 2015 e inserita nel modello Unico presentato quest’anno: il contribuente dovrebbe conservare i giustificativi fino alla fine del 2030. Quindici anni! Certo, non mancano giudici tributari che hanno abbreviato il termine al 2020, sostenendo che il fisco può ancorare gli accertamenti all’anno in cui viene pagato il bonifico e non all’anno in cui viene scontata l’ultima quota del bonus, ma si tratta di pronunce ancora isolate e nessun professionista consiglierebbe a un cliente di buttare allegramente i giustificativi dopo cinque anni.
Perché poi, alla fine, anche se oggi molti documenti possono essere recuperati anche a distanza di anni dagli archivi digitali delle banche o del fisco, avere tra le mani l’originale è sempre più rassicurante. Dopotutto, nel Paese del pezzo di carta, non si sa mai cosa può succedere.
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