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Acque reflue, maxi multa da 62 milioni per l’Italia

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commissione Ue

Acque reflue, maxi multa da 62 milioni per l’Italia

  • – di Redazione

L’Italia non è in regola con i criteri di gestione e smaltimento delle acque di scarico urbane: per questo la Commissione europea ha chiesto una maxi multa da 62 milioni alla Corte di giustizia Ue. Alla sanzione si aggiunge anche la richiesta di un’ulteriore multa giornaliera di 346.922 euro «qualora la piena conformità non sia raggiunta entro la data in cui Corte emette la sentenza».

Nel luglio 2012 la Commissione aveva rilevato la mancanza di un trattamento appropriato delle acque reflue urbane in 109 città italiane. Oggi, secondo l’esecutivo comunitario, a distanza di quattro anni la questione della gestione dello smaltimento delle acque reflue urbane non è ancora stata affrontata in 80 agglomerati. «Questo significa - si legge nei documenti della Commissione - che complessivamente ancora oltre sei milioni di italiani vivono in centri dove mancano sistemi di raccolta e trattamenti “adeguati”, una situazione che pone rischi significativi per la salute umana».

I centri abitati senza un adeguato sistema di raccolta e trattamento delle acque reflue sono situati in diverse regioni italiane: uno in Abruzzo, tredici in Calabria, sette in Campania, due in Friuli Venezia Giulia, tre in Liguria tre in Puglia e addirittura 51 in Sicilia.

La direttiva 91/271/Cee obbliga gli Stati membri ad assicurarsi che gli agglomerati (città, centri urbani, insediamenti) raccolgano e trattino in modo adeguato le proprie acque reflue urbane. Le acque reflue non trattate possono essere contaminate da batteri e virus nocivi, e contengono, tra l’altro, nutrienti, come l’azoto e il fosforo, che possono danneggiare le acque dolci e l’ambiente marino favorendo la crescita eccessiva di alghe che soffocano le altre forme di vita (eutrofizzazione). Secondo la direttiva, le città e i centri urbani con un numero di abitanti superiore a 15.000 che scaricano le acque reflue urbane in acque recipienti non considerate aree sensibili erano tenuti a dotarsi di sistemi per la raccolta e il trattamento delle acque reflue entro il 31 dicembre 2000.

«Non è una situazione nuova per gli operatori - commenta il direttore generale di Utilitalia (la federazione che riunisce le imprese di acqua energia e ambiente), Giordano Colarullo - . La cosa fondamentale del tema è che abbiamo un 'gap'
infrastrutturale accumulato negli anni in diverse regioni italiane e che inevitabilmente porta a queste procedure Ue». Particolarmente grave è la questione della depurazione: «Non tutti gli italiani vengono raggiunti dalle fognature - spiega - e non tutti vengono coperti dalla depurazione con punte intorno al 30%».

Secondo Colarullo «servono gli investimenti, almeno 5 miliardi all’anno ed al momento si sfiorano i 2». Utilitalia ha calcolato che il fabbisogno per gli
investimenti si aggiri tra i 4,5 e i 5,5 miliardi all’anno: uno per il fabbisogno per recuperare il gap infrastrutturale in tema di depurazione dei reflui urbani; tra i 2,5 e i 3,5 per il rimpiazzo delle opere e la manutenzione straordinaria; uno per il
raggiungimento del buon stato ecologico dei corpi idrici superficiali.

In Italia oggi gli investimenti sulle infrastrutture delle acque reflue urbane si fermano a circa 30 euro per abitante: in Germania questa cifra sale a 80 euro; in
Francia a 88, nel Regno Unito a 102 e in Danimarca a 129.

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