L’esito del referendum svizzero del 12 febbraio (si veda il Sole 24 Ore di ieri) potrebbe incidere sulla decisione di aderire alla voluntary disclosure bis. I cittadini svizzeri hanno respinto la proposta di riforma dell’imposizione delle imprese che prevedeva sostanzialmente la soppressione dei regimi speciali delle holding, delle società di domicilio e delle società miste.
La riforma cercava di allineare il contesto normativo svizzero a quanto sancito a livello internazionale dal progetto Beps in merito alla concorrenza fiscale internazionale. Questa necessità era diventata ancora più rilevante dal momento che la Svizzera ha anche approvato le basi legali (Mcaa e Lsai) per lo scambio automatico di informazioni che inizierà a partire dal 2018 con riferimento ai dati del 2017. Come detto però, l’esito del voto è stato negativo e pertanto i regimi speciali resteranno in vigore. Le conseguenze che si possono immaginare, per quanto riguarda l’Italia sono le seguenti.
Cfc e dividendi
Dal 1° gennaio 2016, i regimi fiscali «anche speciali» di Stati o territori si considerano privilegiati laddove il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia (articolo 167, comma 4, del Tuir, così come modificato dalla legge 208 del 2015). Il riferimento ai «regimi speciali» comporta che, come confermato dalla circolare 35/E del 2016, in presenza di società non residenti la cui attività prevalente sia sottoposta a tali privilegi, l’intero reddito sarà considerato soggetto a «regime fiscale privilegiato».
La conseguenza è che (si veda la circolare 35/E del 2015, paragrafo 3.4):
se la società che beneficia del regime speciale è controllata da soggetti residenti in Italia, l’intero reddito, in assenza delle esimenti previste dall’articolo 167, commi 5 e 5-bis, del Testo unico, è soggetto al regime di tassazione per trasparenza in capo al socio italiano (Cfc); inoltre,
i dividendi provenienti da tale società sono tassati integralmente in capo ai soci residenti, a meno che non si sia in grado di dimostrare che, per ciascun esercizio, sin dall’inizio del periodo di possesso:
il livello di tassazione effettiva scontata nel Paese di residenza della partecipata è superiore al 50 per cento della tassazione nominale italiana; o
la tassazione effettiva subita dalla partecipata estera è superiore al 50 per cento di quella che avrebbe effettivamente scontato in Italia.
La verifica dei presupposti e la sussistenza delle eventuali esimenti dovrà essere fatta caso per caso.
Raddoppio termini
Nel caso di attività detenute illecitamente in Svizzera, resterà ancora applicabile il raddoppio dei termini di accertamento e delle sanzioni per le violazioni degli obblighi di compilazione del quadro RW e per l’infedele dichiarazione dei redditi come pure la pericolosa presunzione che le attività non dichiarate siano costituite con redditi sottratti ad imposizione (articolo 12 del Dl 78 del 2009). L’articolo 12 si applica, infatti, alle attività finanziarie detenute in Paesi inclusi nel Dm 4 settembre 1996 o nel Dm 21 novembre 2001, senza tener conto di eventuali limitazioni previste in quest’ultimo decreto. In proposito occorre tener presente che nonostante la Svizzera sia inclusa nella white list italiana di cui al Dm 4 settembre 1996 modificato con il Dm 9 agosto 2016 – che ha come cardine lo scambio d’informazioni – questa continuerà a essere presente nella black list di cui al Dm 4 maggio 1999 (black list delle persone fisiche).
Ma anche se la Svizzera fosse cancellata, in futuro, dal Dm 4 maggio 1999, il richiamo al Dm 21 novembre 2001 resterà efficace nonostante il decreto debba considerarsi implicitamente abrogato dal 1° gennaio 2016. Infatti, l’articolo 1, comma 143, della legge 208/2015 dispone che quando atti normativi fanno riferimento agli Stati o territori di cui al decreto del 2001, il riferimento si intende fatto agli Stati o territori individuati in base ai criteri di cui all’articolo 167, comma 4, nella versione vigente. Pertanto fino a quando la Svizzera non avrà abrogato i propri regimi speciali, resterà nell’ambito di applicazione dell’articolo 12.
In questo senso, considerando il voto espresso domenica scorsa, confidare che la Svizzera non venga più considerata uno Stato black list nel breve periodo potrebbe non risultare attuale. Pertanto, la combinazione di scambio d’informazioni automatico, presunzione di evasione e raddoppio dei termini d’accertamento manterrà la propria portata deterrente per parecchio tempo. Una riflessione di cui tener conto nella scelta, per coloro che fossero interessati, di aderire alla procedura di collaborazione volontaria in corso.
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