La firma della convenzione multilaterale Ocse pare esprimere l’affermazione di un multilateralismo fiscale già avviato da tempo con la crescente collaborazione tra Stati. Ma è proprio così? E cosa cambierà veramente per le multinazionali e le amministrazioni fiscali?
Nei contenuti la convenzione introduce misure di contenimento della erosione delle basi imponibili e dei trasferimenti di utili da Stati ad elevata fiscalità verso Stati con regime fiscale privilegiato ma introduce anche procedure arbitrali per la gestione delle controversie fiscali che dovrebbero mettere le imprese al riparo da fenomeni di doppia imposizione internazionale. Tuttavia, convergenza e consenso espressi con la firma potrebbero rimanere in buona parte tali solo nelle intenzioni. Le misure previste non sono tutte obbligatorie di guisa che gli Stati firmatari possono avvalersi di riserve e opzioni e quindi aderire ad alcune norme ma non ad altre. Le disposizioni relative all’arbitrato hanno incontrato il consenso di meno della metà degli Stati aderenti con la conseguenza che in alcune giurisdizioni gli effetti della convenzione incideranno più sul rafforzamento del contrasto all’elusione fiscale rispetto alla eliminazione della doppia tassazione. La molteplicità di opzioni e riserve consentite dalla convenzione ridimensiona parzialmente il consenso che a una prima lettura sembrerebbe derivare da una così ampia adesione alla sottoscrizione dello strumento multilaterale.
Non è poi trascurabile la circostanza che gli Usa non hanno sottoscritto la convenzione né è probabile che vi possano aderire nell’immediato futuro. La posizione statunitense non sorprende e non è solo espressione del bilateralismo posto per il momento al centro della politica internazionale di Trump indirizzata verso un disvalore degli accordi multilaterali (si veda di recente l’annuncio sulla mancata adesione all’intesa di Parigi sul clima ma anche il ritiro dall’accordo di libero scambio denominato Trans-Pacific Partnership tra Usa, Canada e altri dieci Paesi del Pacifico). Infatti, la convenzione Ocse rinforza la tassazione nello stato di produzione del reddito con evidente maggior aggravio per le multinazionali che investono all’estero (più imposte dove si produce e minor gettito per lo stato di localizzazione della capogruppo). Nel 2015 tra le prime 500 multinazionali del mondo per volume d’affari 134 avevano sede
negli Usa.
Ma non è tutto. La convenzione si dovrà confrontare con altre evoluzioni non prevedibili. L’Unione europea ad esempio ha scelto una propria via al contrasto all’elusione fiscale e ha quindi adottato nel 2016 due direttive in materia di contrasto all’elusione fiscale e alla erosione di basi imponibili che in parte si sovrappongono a quella dell’Ocse. L’intesa politica raggiunta il mese scorso dall’Ecofin su una direttiva in materia di arbitrato fisca le segna poi un punto a favore del rafforzamento del Mercato unico posta la limitata adesione all’arbitrato da parte degli Stati firmatari della convenzione multilaterale Ocse.
Una convenzione – quella Ocse – che riavvicina ma anche divide accentuando la divaricazione tra Usa ed Europa anche nei rapporti fiscali anche se pochi giorni fa, in chiara controtendenza rispetto ad altri interventi dell’amministrazione Trump ispirati al bilateralismo, Wilbur Ross, ministro per il Commercio Usa, ha dichiarato a sorpresa l’intenzione di riprendere i negoziati con l’Ue sul trattato di libero scambio (Trans-Atlantic Trade and Investment Partnership). Uno scenario internazionale quindi di grande incertezza in cui si dovrà muovere l’Ocse nell’affrontare la strategia del multilateralismo fiscale nei prossimi anni senza peraltro perdere di vista le mosse del Regno Unito nello scenario post-uscita dall a Ue.
Per gli Stati che hanno aderito alla convenzione, come l’Italia, gli effetti si sono in parte già fatti sentire in quanto le legislazioni nazionali e i nuovi trattati bilaterali conclusi nel corso dei lavori dell’Ocse hanno anticipato talune misure incluse nella convenzione.
Per il momento amministrazioni finanziarie e imprese non stanno a guardare e si stanno preparando ad affrontare il nuovo scenario internazionale. Le prime intensificano i controlli multilaterali e talvolta mirano ad espandere retroattivamente la portata della convenzione dandone – erroneamente – una valenza meramente interpretativa. Le multinazionali da parte loro puntano a equilibrare con maggior attenzione la allocazione dei profitti nello stato di produzione del reddito e a migliorare la gestione del rischio fiscale concordando il livello di giusta imposizione con le amministrazioni fiscali notoriamente più intransigenti.
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