Si è scritto che è in arrivo una stretta sulle revisioni di auto, moto e mezzi pesanti, che così diventerà più difficile anche la vita di chi rivende auto usate monomettendo il contachilometri per farle sembrare più “giovani”, che il veicolo non sarà ammesso al controllo se risulta che non è in regola con il bollo e che chi circola con la revisione scaduta potrà essere multato anche in automatico quando passa davanti ad autovelox e simili. Non è vero (quasi) nulla.
La verità è che sta per entrare in vigore una nuova direttiva europea, che porta sì alcune novità ma non così drastiche. Anche perché in alcuni casi l’Italia si è già adeguata gradualmente negli anni passati, in altri il recepimento delle nuove regole fatto dal ministero dei Trasporti italiano è stato fatto in modo soft. Per esempio, senza strette sull’inquinamento, nonostante il dieselgate. La direttiva è la 2014/45/UE, recepita in Italia dal decreto ministeriale 19 maggio 2017, n 214, che sta per essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
La stretta sui contachilometri, in realtà, è già in vigore dal 2010: gli operatori devono prendere nota della percorrenza indicata dallo strumento al momento della revisione, che infatti può essere consultata sul Portale dell’automobilista digitando il numero di targa. Però dal 2010 non si è trovato un modo per far davvero rispettare l’obbligo e le cose non cambieranno con le nuove regole. Infatti, è vero che verrà rilasciato un documento in più (il certificato di revisione), nel quale va riportato anche il chilometraggio, ma solo «se possibile». Con questa premessa, di sanzioni per le officine che lasciano in bianco la casella o scrivono una percorrenza diversa da quella reale non c’è nemmeno l’ombra. Il problema è allo studio della Motorizzazione.
Occorrerebbe trovare un sistema per individuare le anomalie (per esempio, quando vengono inseriti valori numerici poco compatibili con quelli rilevati nella revisione precedente) e chiederne conto all’operatore. L’individuazione può anche avvenire in automatico, ma l’attività successiva non sembra per ora alla portata della Motorizzazione (l’ente che controlla le officine private), che ha gravi carenze di organico.
Così il certificato di revisione finisce per avere un’utilità solo per un dato: la scadenza entro la quale il veicolo va sottoposto al prossimo controllo, oggi ricavabile solo con un calcolo (il tagliandino adesivo che attesta la regolarità del test ne riporta la data e quello successivo deve avvenire entro lo stesso mese di due anni dopo, o un anno per mezzi pesanti, taxi eccetera).
Quanto all’essere in regola col bollo auto, erano stati presentati emendamenti alla Legge di bilancio (nell’autunno 2016) e alla manovrina di primavera (Dl 50/2017), per escludere che chi non risulta averlo pagato non può far sottoporre il proprio veicolo alla revisione. Emendamenti sempre bocciati, sia perché è difficile sapere se uno è davvero in regola (le norme sul bollo sono complesse e le banche dati non di rado sono poco affidabili) sia perché sarebbe un danno per la sicurezza (nulla impedirebbe di circolare lo stesso, sia pure rischiando la sanzione per mancata revisione, 169 euro e 338 per i recidivi) e sospensione dalla circolazione (in autostrada scatta il fermo amministrativo).
Quanto ai controlli automatici, attualmente non sono ammessi per legge. L’impiego delle apparecchiature di rilevazione (che hanno un lettore di targhe collegato con la banca dati ministeriale) viene effettuato solo per indicare agli agenti chi non è in regola, in modo che una pattuglia appostata nelle vicinanze lo possa fermare.
E allora che cosa resta della stretta sulle revisioni di cui tanto si scrive? Innanzitutto il fatto che dal 2015 è entrato in funzione il sistema MctcNet2, una sorta di Grande Fratello che rende tracciabile ogni singolo controllo in ogni sua operazione (salvo, ovviamente, le verifiche che l’operatore deve effettuare a occhio). Vengono anche scattate foto digitali per attestare l’effettiva presenza del veicolo sulla linea di revisione. Così diventano più difficili gli abusi che hanno caratterizzato il passato.
Di sicuro non ci sarà una stretta sull’inquinamento: la direttiva europea avrebbe permesso anche di misurare le singole sostanze nocive (come gli ossidi d’azoto, NOx, al centro del dieselgate e le polveri sottili), ma l’Italia ha scelto di restare ancorata al mero controllo del CO (monossido di carbonio), che è solo un indice “sintetico” e incompleto. Misurazioni approfondite avrebbero imposto apparecchiature sofisticate, con conseguenti aggravi per le officine e rincari delle tariffe a carico dei cittadini.
© Riproduzione riservata