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Laureati stranieri triplicati in Italia. Ma sono ancora pochi (e non si…

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Laureati stranieri triplicati in Italia. Ma sono ancora pochi (e non si fermano qui)

(Fotogramma)
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Nell’arco di 11 anni, tra 2005 e 2016, i laureati stranieri nelle nostre università sono cresciuti del triplo. L'entusiasmo, però, rischia di raffreddarsi quando si entra nel dettaglio del numero totale: da 3mila a 9.556. Il tutto mentre la quota di studenti esteri iscritti è arrivata al 5% della popolazione universitaria nel 2015, pari a più di due volte rispetto al 2005 (2,2%) ma ancora a distanza da Germania (7%), Francia (10%) e Regno Unito (18%). Il bilancio, fornito dal consorzio universitario Almalaurea, fotografa punti di forza e debolezze del sistema italiano quando si tratta di attrarre il capitale umano degli studenti universitari esteri. Il fenomeno è in crescita, ma il ritmo di entrate resta modesto. E il problema principale arriva dopo la fine degli studi: solo il 30% dei laureati darebbe la priorità all'Italia come luogo di lavoro, mentre il 36% abbandona la Penisola a un anno dalla laurea magistrale.

L'handicap dell'internazionalizzazione. Dionigi (Almalaurea): servono borse e docenti internazionali
Il trend è comunque positivo, se si considera che tra 2004 e 2014 il saldo della mobilità internazionale è riuscito a virare in positivo: gli studenti stranieri in entrata hanno superato il totale di quelli italiani in uscita. Ma si resta su livelli «non paragonabili» a quelli del resto d'Europa, dove la mobilità di studenti è da anni un fattore di competizione. Il bacino degli internationals frutta alla sola Gran Bretagna oltre 420mila iscritti, con ricadute economiche nell’ordine dei miliardi di sterline tra rette, affitti e indotto.

È vero che si parla di un sistema con una tradizione del tutto diversa, ma l’Italia sembra in ritardo sui fattori che potrebbero migliorare la “presa” su matricole estere. A partire da un handicap principale: l’internazionalizzazione, ad esempio nell’offerta didattica in inglese. Secondo i dati di Universitaly, un portale del Miur, i nostri atenei hanno attivato un totale di 338 corsi insegnati integralmente in lingua. Un progresso rispetto alla nicchia di qualche anno fa, ma comunque ben al di sotto dei 1.034 offerti dai Paesi Bassi, gli 835 della Germania e i 550 della Svezia, solo per citare i primi tre paesi nell'analisi svolta dal portale di settore Master Portal. Un ritardo che spiega, in parte, perché la maggioranza di iscritti stranieri confluisca sugli atenei più predisposti all'internazionalità come Perugia Stranieri (30%), Bolzano (unica università trilingue in Italia, 17%), Siena Stranieri (14%), Trento e Trieste (8%).

Ivano Dionigi, presidente di Almalaurea ed ex rettore dell'Università di Bologna, registra dei «passi in avanti» rispetto allo scenario di qualche anno fa. Quello che manca è il «salto di qualità» che avvicini l'Italia alla concorrenza europea. Il progetto suggerito da Dionigi passa per due binari: maggiori investimenti sul diritto allo studio e la creazione di percorsi formativi ad hoc, arricchita magari da una maggiore presenza di docenti internazionali. Fattori che fanno la differenza, quando si parla di attrarre studenti abituati a corsi di laurea gratuiti (come in Germania o Danimarca) e un grado di internazionalizzazione aumentato da docenti con esperienza all'estero. «Serve investire sempre di più su borse di studio e strutture di accoglienza destinate agli studenti internazionali – dice Dionigi - ma anche nella creazione di percorsi formativi maggiormente caratterizzanti e sul reclutamento di docenti di caratura internazionale».

Del resto, anche il bacino di provenienza fa fatica ad aprirsi oltre a una gamma limitata di nazionalità. Un terzo dei laureati 2016 (32,9%) arriva da un totale di tre paesi: Albania (13,9%), Romania (9,9%) e Cina (9%), quest'ultima in crescita dall'1% del 2006. Se poi si considera che il 73,5% degli studenti rumeni e il 60% di quelli albanesi si era già diplomata in Italia, il grado di “internazionalità” ne esce ridimensionato: si tratta comunque di talenti esteri, ma già residenti nella Penisola e più indotti a optare per un ateneo italiano.

Solo 1 su 3 vuole restare in Italia. E il 36% (ri)espatria dopo gli studi
In genere gli studenti stranieri si mostrano più soddisfatti della controparte italiana per la qualità dell'istruzione, con un tasso di soddisfazione che arriva al 90%. Solo in pochi, però, sono intenzionati a trattenersi nella Penisola anche a laurea intascata. Il 63% è disposto a spostarsi in un altro paese europeo contro il 48% dei coetanei italiani, mentre il 48% si spingerebbe anche oltre l'area Schengen (contro il 35% dei nostri laureati). Nel complesso solo il 30% degli internazionali dichiara che «preferirebbe l'Italia all'estero», per scendere al 23% tra gli studenti in arrivo da altri paesi europei.

Dionigi pensa che, in questo caso, il passaporto incida poco. A mancare sono le prospettive di occupazione e crescita professionali. «Una quota sempre maggiore di giovani, sia italiani che stranieri, formati nel nostro Paese, una volta acquisito il titolo di laurea, lavora oltreconfine dove le loro competenze sono maggiormente valorizzate – fa notare Dionigi - . A un anno dal titolo magistrale, tra gli italiani espatria per motivi di lavoro il 5% degli occupati, tra gli stranieri tale quota sale addirittura al 36%».

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