Il Fisco esce decisamente segnato dalle vicende di questi ultimi 100 giorni: è come se tra adempimenti vecchi e nuovi, proroghe, modifiche continue e a ridosso delle scadenze, si fosse smarrita quella spinta al rinnovamento che si era intravista con i decreti attuativi della legge delega fiscale, la quale - pur senza l’ambizione di una vera riforma - era almeno riuscita a scuotere il sistema dal torpore nel quale vegetava da anni. Un vero disastro che ha avuto (e ancora in questi giorni sta avendo) il suo epicentro nel nuovo sistema delle comunicazioni Iva ma che - dallo split payment alla tassa sulle locazioni brevi - non si è affatto risparmiato quanto a complicazioni, improvvisazioni e ritardi.
Cosa tanto più grave perché questo clima finisce per proiettare un’ombra sulle molte misure fiscali che hanno consentito, in combinazione con un contesto internazionale più favorevole, di raggiungere i risultati che Istat e organismi internazionali hanno ormai certificato, con una crescita del Pil superiore alle attese. Eppure nei pensieri degli operatori continua a prevalere il disagio per il “disastro fiscale” di questi 100 giorni. Al quale è ora urgente porre rimedio. Ma come?
Diciamo subito che stiamo entrando in una fase poco adatta ai “grandi progetti”: da un lato, arriverà una legge di bilancio non semplice nella quale dovranno essere dosati sia gli interventi necessari per sostenere e rafforzare la crescita sia quelli per il rispetto dei vincoli europei; dall’altro lato, alle porte ci sono le elezioni politiche. E, naturalmente, non si può ignorare l’effetto - indiretto e potenziale - che l’imminente chiamata alle urne può avere sulla legge di bilancio, anche in materia di tributi.
L’esperienza racconta di un rapporto controverso tra Fisco ed elezioni. E ciò perché nei periodi pre-elettorali tendono a prevalere gli interventi spot, estemporanei, quelli più orientati ad acquisire consenso e meno adatti a rispondere alle esigenze di razionalizzazione del sistema. Il passato, anche recente, ne fornisce alcuni esempi.
Si pensi alla tassa sulla prima casa, diventata il mantra di molte tornate elettorali, senza che nessuno badasse davvero a quel che ancora oggi provoca sofferenze, ovvero le modalità per compensare i Comuni per il gettito perso; oppure alle scelte su alcuni bonus fiscali, inclusi gli “80 euro”, un vero mostro normativo sotto il profilo della logica del sistema, nato - guarda caso - proprio alla vigilia dell’appuntamento per il rinnovo del Parlamento europeo.
Inoltre, non va sottovalutato l’effetto propaganda: a ridosso delle elezioni, c’è sempre qualche partito o movimento politico disposto a promettere tagli di tasse e regali miracolosi e allora diventa forte per tutti - inclusa l’attuale maggioranza, e per il governo non sarà semplice mantenere la rotta - la tentazione di rincorrere gli avversari sullo stesso terreno, che spesso è quello delle promesse irrealizzabili. Ne abbiamo avuto un piccolo anticipo sulla flat tax, con un dibattito avviato in modo utile e costruttivo, tra accademia e politica, ma talvolta scivolato a livelli da bar dello sport.
Resta, allora, la domanda: per il Fisco è il momento giusto per voltare pagina? E per fare cosa?
Ci sono due modi per intervenire. Il primo, più ovvio, è la riduzione delle tasse. È curioso che i molti interventi che negli ultimi anni sono andati in questa direzione - dall’Ires ridotta al 24% all’Irap alleggerita della componente lavoro per arrivare a super e iper ammortamenti - non abbiano scalfito la percezione di una pressione fiscale straordinariamente pesante. Ma probabilmente le tasse sono considerate “pesanti” anche (non solo) per le complessità gestionali, a causa degli oneri burocratici che fanno lievitare il “costo fiscale effettivo”. Il che proietta sulla seconda modalità: intervenire sul “codice dei tributi” (se almeno lo avessimo...), ovvero semplificare davvero le regole di funzionamento del sistema.
Naturalmente, per quanto fortemente desiderabile, una riduzione della pressione fiscale non sembra realistica. Il dare e avere della legge di Bilancio non lascia grandi margini di azione: una volta disinnescate clausole di salvaguardia (cosa che, in effetti, evita un aumento della pressione fiscale) e spese indifferibili, le risorse saranno limitate. E la scelta (condivisibile) del governo è voler “concentrare gli sforzi” su occupazione giovanile e investimenti innovativi delle imprese.
Eppure, le vicende estive sono lì a ricordarci che né la scarsità di risorse né le imminenti elezioni possono diventare l’alibi per rinviare ancora i molti interventi, spesso a costo zero, di cui il Fisco ha bisogno. Anzi, è necessario che il governo metta a punto un buon intervento di “manutenzione” da inserire nella legge di Bilancio. Un pacchetto fiscale per semplificare obblighi, adempimenti e scadenze. Per dare certezza del diritto agli operatori, migliorare i rapporti con l’amministrazione e non lasciare i contribuenti in balìa di accertamenti e contenziosi dall’esito incerto ma sicuramente molto, troppo costoso. Una mossa auspicabile, che non avrebbe costi per l’Erario (o ne avrebbe di contenuti), e che consentirebbe di tagliare gli oneri di gestione delle tasse, con effetti positivi per gli operatori e per la crescita.
Le cose da fare non mancano. Dalle più semplici (rassegniamoci: il calendario di adempimenti e dichiarazioni non funziona ed è urgente cambiarlo), alle più controverse (sull’abuso del diritto resta una discreta confusione), passando per le più criticate e sofferte: l’invio di dati e comunicazioni non può diventare una “corvée fiscale”, come molti operatori sostengono, specie se si va verso la fatturazione elettronica tra privati, che sarà utile solo se accompagnata di concrete misure premiali e se servirà a eliminare adempimenti che diventerebbero superflui.
L’elenco delle cose necessarie e fattibili è naturalmente molto corposo ma è anche facilmente ricostruibile. Basta rimettere ordine tra i testi usciti dai molti tavoli tecnici sulle semplificazioni, rileggere i resoconti delle audizioni parlamentari di categorie e associazioni, consultare i documenti recenti che già contengono il menu degli interventi normativi (e amministrativi) necessari. Basterebbe partire da qui, cercando di valorizzare l’approccio di quel “metodo dell’ascolto” che ha già dato buoni frutti. E ripartire dai principi già scritti nello Statuto dei diritti del contribuente. C’è solo l’imbarazzo della scelta, ma un “ripasso” su nuove imposte, decreti legge, retroattività dei tributi, adempimenti, scadenze e così via, sarebbe auspicabile per evitare gli errori del recente passato.
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