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Dossier Quel Fisco più semplice che passa dal dialogo

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    Dossier | N. 16 articoliSemplificazioni fiscali verso la manovra 2018

    Quel Fisco più semplice che passa dal dialogo

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    È presto per dire se i nuovi indici sintetici di affidabilità fiscale e il contestuale progressivo addio agli studi di settore siano destinati a diventare, almeno idealmente, il primo atto di una sorta di “ripartenza” per il nostro ammaccato sistema tributario o se sarà solo un’operazione d’immagine che poco cambia nella sostanza.

    Quel che invece non è in dubbio è che forse mai come in questa lunga estate di adempimenti, proroghe e rinvii, il fisco abbia bisogno di trovare una nuova via. E di lanciare con urgenza un segnale che indichi la volontà forte e chiara di voltare pagina, per lasciare definitivamente alle spalle i disagi di questi mesi. Disagi veri, reali. Nati da una catena interminabile di errori, intoppi, inefficienze a tutti i livelli che gli operatori, professionisti e imprese, hanno sperimentato sulla propria pelle.

    Siamo onesti: fa un certo effetto sentire il nuovo direttore dell’agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, intervenuto ieri in audizione davanti alla Commissione bicamerale per la semplificazione fiscale, ammettere e riconoscere i problemi e le complicazioni determinati dall’introduzione del nuovo sistema delle comunicazioni Iva. Quello stesso sistema che l’agenzia delle Entrate aveva fortemente difeso solo pochi mesi prima (e va detto: prima dell’arrivo del nuovo direttore), negando che la raccolta, il confezionamento e l’invio dei dati avrebbero potuto creare difficoltà ai contribuenti: difficoltà invece enormi, con le quali tutti sono alle prese ancora in questi giorni per l’invio dei dati delle fatture. Senza dire poi che una misura presentata addirittura come una semplificazione (non ci aveva creduto nessuno, ovviamente), si era trasformata in qualcosa di profondamente diverso.

    Con un aggravio incomprensibile in termini di adempimenti e costi (dal software al personale), peraltro combinato con altre novità non proprio indolori, come a esempio è stata l’estensione dello split payment.

    Comunque la si voglia vedere, quello che non ha funzionato è il metodo. Ed è il metodo, guardando avanti, che deve cambiare. Come riconosce lo stesso Ruffini, gli interventi rilevanti – e quello delle comunicazioni Iva lo era certamente – vanno pianificati in anticipo e vanno comunicati nel modo giusto. Magari, come è stato ripetutamente chiesto da più parti, accompagnando misure di tale impatto con altrettanti interventi di semplificazione (per esempio, l’eliminazione dell’obbligo di stampa dei registi Iva, giustamente citato anche dal direttore dell’Agenzia). Prendiamola come una promessa solenne per il prossimo futuro, specie se il governo si impegnerà a mettere a punto un pacchetto di misure fiscali “di manutenzione” dentro la manovra di bilancio (o in un decreto collegato) per semplificare obblighi, adempimenti e scadenze. Un passo fondamentale proprio per rilanciare il metodo del dialogo con i contribuenti che in questa fase si è purtroppo un po’ smarrito.

    Intanto avanzano i nuovi indici sintetici di affidabilità fiscale (Isa), che una volta a regime, si applicheranno a oltre 3,5 milioni di contribuenti, tra imprese e professionisti, e prenderanno il posto dei “vecchi” studi di settore. Un passaggio significativo in quanto, anno dopo anno, gli studi di settore sono diventati la metafora di un sistema fiscale arcigno, vessatorio, percepito come nemico dei contribuenti. Per dare l’idea di questo stato di cose, non è irrilevante ricordare che la campagna per la soppressione degli studi di settore è entrata nel programma politico-elettorale di svariati partiti e movimenti.

    Al di là di questi aspetti, il superamento degli studi di settore sarà utile. Ma è altrettanto importante chiedersi se gli Isa saranno davvero meglio degli studi o se saranno, come dire, “studi travestiti”?

    Per ora, per chi vuole vedere il bicchiere mezzo pieno, si può dire che con i nuovi Isa diventa più immediata la conoscenza di benefici della tax compliance. Più il contribuente sarà fiscalmente affidabile, più sarà premiato con “benefici fiscali”: niente accertamenti con presunzioni semplici; decadenza più breve per l’accertamento; vantaggi su visto di conformità per compensazioni, rimborsi e garanzie. Sarà però decisivo capire come questi benefici saranno graduati in relazione al livello di affidabilità fiscale.

    Per chi invece vuol vedere il bicchiere mezzo vuoto, resta da capire che cosa concretamente accadrà a chi si posizionerà in basso (o molto in basso) nella scala di “fedeltà fiscale”. Probabilmente riceverà una segnalazione di anomalia dall’agenzia delle Entrate; sarà chiamato a fornire chiarimenti e spiegazioni. Ma poi? Subirà un accertamento “quasi-automatico”, un po’ come avveniva prima che la giurisprudenza bloccasse il semplice ricorso agli studi per i controlli? Ovviamente, sarebbe un brutto colpo alla volontà dichiarata di voler voltare pagina. In aggiunta a ciò, è anche qui qualche dubbio serpeggia, si tratta di capire se il processo logico e i meccanismi matematico-statistici che porteranno a realizzare i nuovi indici continueranno a essere opachi come lo sono stati per gli studi di settore. In fondo, il “fisco degli algoritmi” non ha mai fatto grandi proseliti.

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