Può apparire vano invocare la “certezza del diritto” o, addirittura, i precetti costituzionali contro il consolidato (perlomeno da un decennio a questa parte) caos fiscale.
Il diritto nasce sostanzialmente per regolare le condotte umane, cioè consiste nel permettere, vietare e comandare un fare o un non fare dell’uomo. Il diritto ha quindi una profonda connotazione tecnica, posto che la tecnica vuole anche uniformare, “proceduralizzare”, i comportamenti.
Nonostante questa conformazione – la tecnica per sua “natura” funziona - il diritto non è assolutamente certo. Illuminante a tale riguardo risulta la definizione data da Irti, secondo il quale «il diritto rappresenta una tregua tra due conflitti». Il diritto non è dunque altro che il dominio di una volontà sulle altre, così che quando quest’ultime avranno a loro volta il dominio, tenderanno ad affermare – con le proprie leggi – il loro. Questa precarietà del diritto non può essere messa in discussione nemmeno dai precetti costituzionali, i quali non sono rivolti al cittadino, ma al legislatore stesso, cioè a colui che, nei limiti stabiliti dalla Costituzione, esercita questo “dominio temporaneo”. Si giunge, così, alla conclusione che il diritto, nonostante la sua fortissima connotazione tecnica, risulta “precario” per sua stessa natura. Questa precarietà risulta oltremodo evidente per le vicende fiscali.
Ogni Governo che si è succeduto nel tempo – visto che i temi fiscali “fanno molta presa” in campagna elettorale (nella prossima si scommette sulla “flat tax”, quando è evidente che il vero problema è la base imponibile reddituale) – ha voluto lasciare la sua impronta sul piano fiscale, disattendendo quello che era stato fatto precedentemente. Queste presunte “innovazioni” hanno dovuto però fare i conti con le esigenze di gettito, e qui sono entrate in gioco le varie norme di chiara matrice “amministrativa” (con il legislatore che ha fatto sostanzialmente da “notaio”), attraverso le quali si è corso ai ripari con le più variegate e confuse disposizioni improntate al recupero dell’evasione.
Si è così generata una legislazione casistica, per fattispecie, quando invece la “fattispecie” rappresenterebbe la figura del fatto, cioè non uno specifico fatto, ma il fatto che ricorre nel tempo. Dietro una legislazione (estremamente) casistica si sono quindi annidati vari interessi, basti pensare al “doppio volto” della tanto agognata semplificazione. Da un verso (quello pubblico) se ne fa una bandiera, mentre il reale interesse di alcune “forze” è che poco o nulla muti. Il recente regime “per cassa”, annunciato come una semplificazione, ne è un caso paradigmatico posto che, in realtà, rappresenta uno dei regimi di determinazione del reddito più complicati al mondo.
Quale la soluzione? L'ideale sarebbe quello di avere il coraggio di riformare per davvero il fisco con una legislazione “per principi”, visto che nella legislazione casistica non possono che prevalere la prassi e i vari interessi. Diversamente, al momento del reale tracollo, le varie forze, i vari poteri, non potranno che fare un passo indietro, abbandonando la loro visione particolaristica, per una visione necessariamente collettiva della fiscalità.
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