Assolto dal reato di guida in stato di ebbrezza perché l’alcoltest non gli era stata fatto subito. È capitato a un motociclista, fermato nel cuore della notte a Bologna poco dopo l’uscita da una discoteca, mentre guidava contromano e senza casco. Dopo l’alt, gli agenti hanno visto che c’erano anche sintomi di ebbrezza: alito vinoso e occhi arrossati. Indizi non da poco, certo. Ma la pattuglia era sprovvista di etilometro ed era stato necessario aspettarne un’altra. Così il test è stato svolto quasi due ore dopo e il suo esito non ha convinto il giudice.
In realtà, dietro il convincimento del giudice non c’è del garantismo peloso, come a prima vista potrebbe sembrare. L’esito del test, infatti, era effettivamente poco convincente: delle due prove che il Codice della strada (articolo 379, comma 2, del Regolamento di esecuzione) richiede di svolgere a distanza di cinque minuti l’una dall’altra, la seconda aveva dato un tasso alcolemico superiore alla prima. In teoria, questo è segno che il motociclista aveva bevuto poco prima: il tasso cresce a ridosso dell’assunzione di alcol e successivamente diminuisce. Ma il motociclista era rimasto dalle 4,45 (ora dell’alt) alle 5,20 (ora del primo test) sotto gli occhi degli agenti, per cui è ragionevole ritenere che avesse finito di bere perlomeno un paio d’ore prima del test.
Si può obiettare che non esiste una tempistica predeterminabile: l’assorbimento dell’alcol nel sangue dipende dalle caratteristiche di ciascuna persona e, in linea di massima, è più veloce (quindi il tasso alcolemico si alza in modo rapido e brusco) quando si beve a stomaco vuoto, mentre diventa lento e progressivo a stomaco pieno. Può quindi essere che il motociclista avesse anche mangiato.
Ma questo non è stato dimostrato. E, soprattutto, le riserve sull’attendibilità degli etilometri sono più d’una. Dunque, la decisione del Gup di Bologna, Alberto Gamberini, sembra meno discutibile di quel che appare a prima vista. Piuttosto, potrebbe essere ritenuto discutibile il modo di procedere della Polizia: visto che c’erano i sintomi dell’ebbrezza ma non l’etilometro, si sarebbe potuto accompagnare il motociclista in ospedale per eseguire le analisi del sangue (di attendibilità sicuramente maggiore).
E, se la situazione fosse stata tale da impedire l’opzione ospedaliera (non è facile trovare una struttura disponibile subito e le possibilità di accompagnare un”sospetto ubriaco” sono limitate per legge), si sarebbe rotuto punire il motociclista con il cosiddetto accertamento sintomatico: gli agenti stilano un verbale in cui indicano chiaramente i segni di ebbrezza che il guidatore presenta e, se la descrizione è precisa, anche un eventuale ricorso dell’interessato viene respinto. Anche la Cassazione ritiene pacificamente valido un accertamento sintomatico.
Certo, così facendo si perde di fatto la possibilità di punire il guidatore in base all’effettiva gravità della violazione: l’accertamento sintomatico non consente di determinare con esattezza il tasso alcolemico, quindi non si riesce a determinare in quale dei tre casi previsti dal Codice della strada ci si trova. Nel dubbio, di fatto si può applicare solo quello più lieve (tasso alcolemico da 0,51 a 0,080 g/l), l’unico depenalizzato. Che, nell’ipotesi-base, prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 532 euro, la decurtazione di 10 punti patente e la sospensione della patente stessa per un periodo da tre a sei mesi (decide la Prefettura).
Nel caso del motociclista di Bologna, l’etilometro aveva indicato che il tasso alcolemico rientrava nel caso più grave (superava 1,5 g/l), che nell’ipotesi-base prevede una condanna penale a un’ammenda da 1.500 a 6.000 euro, l’arresto da sei mesi a un anno, la confisca del veicolo, la decurtazione di 10 punti e la sospensione della patente da uno a due anni. Nel tentativo di applicare queste sanzioni, a Bologna si è persa la possibilità di applicare anche quelle più lievi della fattispecie depenalizzata.
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