A quanto pare, il nostro legislatore fiscale è spesso preda della precipitosa intenzione di risolvere rapidamente una situazione scomoda senza guardare troppo per il sottile e non si cura troppo dello stile, né dei possibili effetti collaterali.
Con la legge di stabilità 2016 venne prevista (con decorrenza a partire dal 2017) la possibilità per le imprese di emettere la nota di accredito – a recupero dell’Iva versata all’erario ma non incassata dal proprio cliente – al momento dell’avvio (e non della conclusione) della procedura concorsuale, vale a dire, sostanzialmente, nello stesso periodo in cui, in ambito reddituale, è consentito dedurre la relativa perdita.
Con la legge di bilancio 2017 (ossia un attimo prima che divenisse efficace) la disposizione è stata cancellata. Come si direbbe in gergo calcistico, è stata tirata la palla in tribuna (e, da allora, non è più tornata in campo). A rimetterci, ovviamente, sono le imprese, che prolungano il prestito forzoso dell’imposta per tempi a volte lunghissimi.
Con la legge di bilancio 2017 è stata introdotta l’Iri, che, dopo tanti tentativi a vuoto, è divenuta efficace il 1° gennaio scorso. Ora, a quasi un anno di distanza, la palla finisce (retroattivamente) in tribuna, parrebbe per un anno.
Contemporaneamente, viene soppresso (con decorrenza 2017, in deroga allo Statuto) l’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 96 del Tuir, ossia la norma (introdotta a partire dal 2016 con «intento compensativo») che consente alle imprese, nel calcolo di deducibilità degli interessi passivi, di considerare i dividendi incassati relativi a controllate non residenti. Altra palla che sta per finire in tribuna.
Gli “effetti collaterali”, questa volta, sono ancora più evidenti del pur già triste caso delle note di accredito nelle procedure: molte imprese (e molti soci per quanto riguarda l’Iri) hanno (legittimamente) calcolato gli acconti d’imposta in via previsionale sulla base delle norme già da mesi in vigore e ora finiscono in fuorigioco, con l’unica colpa di non aver avuto la preveggenza della “sindrome da ultimo difensore” del nostro legislatore.
Se (per motivi di gettito) non si possono evitare questi scivoloni, si pensi almeno a tutelare chi ha agito in buona fede, salvaguardando gli acconti determinati sulla base delle norme in vigore al momento in cui sono stati (e saranno a novembre) versati (o, addirittura, non versati). Per questi soggetti, il saldo d’imposta sarà amarissimo, ma almeno non aggiungiamo al danno
anche la beffa delle sanzioni o di un versamento precipitoso di risorse che sono state quasi certamente già destinate altrove. Insomma, se la palla deve per forza finire in tribuna, almeno evitiamo che sbatta sul viso di chi non c’entra nulla.
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