Il Tutor è stato copiato da Autostrade per l’Italia. Il sistema in grado di rilevare anche la velocità media dei veicoli era stato brevettato già nel 1999 da una piccola impresa toscana, la Craft. Che ieri, dopo un rinvio disposto dalla Cassazione (sentenza 22563/2015) , si è vista riconoscere dalla Corte d’appello di Roma (sentenza 2275/2018) la contraffazione del brevetto da parte del gestore autostradale, condannato a spegnere il sistema e smontarlo, pena una sanzione civile di 500 euro per ogni giorno di ritardo. Ciò non comporterà lo spegnimento immediato del Tutor, ma la partita si preannuncia ancora lunga.
Il Tutor non sarà spento perché Autostrade per l’Italia (Aspi) ha dichiarato che - per evitare passi indietro sul fronte della mortalità autostradale, diminuita del 70% anche per effetto del Tutor - pagherà per tutto il periodo che sarà necessario (stimato in tre settimane) per sostituire il sistema. Ma è verosimile che la sostituzione avverrà con il Sicve-Pm, approvato dal ministero delle Infrastrutture il 31 maggio 2017; su tale approvazione pende già dal 29 luglio 2017 una richiesta di annullamento in autotutela da parte di un’altra azienda in contenzioso (anche penale) con Aspi, perché il nuovo sistema non avrebbe alcun elemento di novità rispetto a quello che ieri la Corte d’appello di Roma ha dichiarato contraffatto.
Alla base della decisione dei giudici romani c’è proprio la mancanza di novità. Il brevetto Craft del 1999 consisteva in telecamere in grado di riconoscere le targhe e di elaboratori in grado di documentare il passaggio di un veicolo in un certo istante in un certo punto, per poi ripetere la rilevazione in un altro punto a distanza di chilometri e calcolare la velocità media. Proprio come fa il Tutor, con la differenza che al posto delle telecamere ci sono, secondo la versione, spire induttive annegate nell’asfalto o rilevatori radar, il tutto abbinato ad apparecchi fotografici che leggono le targhe.
Aspi ha sostenuto che questo fosse un sistema nuovo e ha anche cercato di brevettarlo. Ma la Corte d’appello ha affermato che manca l’elemento di novità che deve caratterizzare un’invenzione affinché possa avere un brevetto, perché già nelle norme Uni Cei 70032 (che documentano le conoscenze tecniche dell’epoca) era prevista la possibilità di utilizzare le spire sia induttive sia virtuali. Una tesi in linea con quelle iniziali della Craft (si veda Il Sole 24 Ore del 9 febbraio 2009).
Aspi ha comunque preannunciato un ulteriore ricorso in Cassazione, rimarcando che la sentenza di ieri ha riconosciuto che non c’è stato arricchimento da parte sua, tanto che non è stato stabilito alcun risarcimento per la Craft. Ciò emerge dagli atti di causa ed era vero al momento in cui la causa è iniziata; ma in seguito Aspi ha beneficiato del Tutor sia direttamente (vendendolo ad altri gestori di strade) sia indirettamente (la diminuzione della mortalità è tra i parametri compresi nella formula in base alla quale i pedaggi vengono rincarati ogni anno).
La partita è ancora da giocare anche perché ci sono indagini penali aperte per le denunce di un’azienda che aveva operato nello sviluppo del software del Tutor prima che Aspi lo facesse in proprio. In gioco ci sono anche il pagamento delle licenze d’uso del software e azioni tese a invalidare l’approvazione ministeriale del Tutor e le conseguenti multe. Anche se per chi le ha pagate è difficile ipotizzare una restituzione dei soldi: occorrerebbe un’azione civile per indebito arricchimento, per la quale la giurisprudenza è restrittiva.
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