Il decreto legge sicurezza mira a ottenere un notevole risparmio di fondi pubblici riducendo i finanziamenti alle strutture di accoglienza per richiedenti asilo. Anzitutto si interviene sul Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), che raccoglie le strutture di accoglienza promosse dagli enti locali e attuate dagli enti del terzo settore finanziate
al 95% dal ministero dell’Interno. Tali strutture sono ora riservate soltanto ai titolari di protezione internazionale e ai
minori stranieri non accompagnati, mentre da ora in poi saranno esclusi i richiedenti asilo e i titolari del permesso di soggiorno per motivi umanitari (abrogato dal decreto legge), anche se in via transitoria i richiedenti asilo e i titolari dei precedenti permessi di soggiorno
umanitario che erano accolti nelle strutture al 5 ottobre e fino alla conclusione dei progetti.
Tuttavia, potranno accedere a tali strutture anche i titolari dei permessi di soggiorno “speciali” per vittime di violenza
o grave sfruttamento o per vittime di violenza domestica o per condizioni di salute di eccezionale gravità o per vittime di
particolare sfruttamento lavorativo o per calamità o per atti di particolare valore civile.
In conseguenza delle modifiche recate allo SPRAR viene ristrutturato l’impianto complessivo del sistema di accoglienza dei migranti sul territorio, articolato in prima e seconda accoglienza ai sensi del Dlgs n. 142 del 2015.
I richiedenti asilo sprovvisti di mezzi di sostentamento da ora in poi potranno accedere soltanto ai centri governativi di
prima accoglienza e ai centri di accoglienza straordinaria (CAS) predisposti dai Prefetti in ogni provincia. Questi centri,
però, hanno standard inadeguati rispetto a quelli minimi previsti dalla direttiva Ue sull’accoglienza dei richiedenti asilo.
Ciò comporta il rischio dell’avvio di una procedura di infrazione contro l’Italia, anche perché già da anni gli uffici della Commissione europea avevano richiesto un potenziamento e non già un indebolimento
dei servizi di accoglienza.
Si prevedono ulteriori restrizioni delle misure di accoglienza dei richiedenti asilo escludendoli dai corsi di formazione
professionale e da prestazioni di volontariato in favore dei comuni in cui risiedono.
Si prevede altresì che i richiedenti asilo non possano più ottenere l’iscrizione nelle liste anagrafiche della popolazione residente nel Comune in cui sono ospitati e a tal fine per l’accesso dei richiedenti asilo ai servizi pubblici
si equipara il domicilio effettivo all’iscrizione anagrafica. Tale modifica crea una discriminazione irragionevole con gli
altri stranieri che comunque possono ottenere l’iscrizione anagrafica dopo 3 mesi di soggiorno nel medesimo centro di accoglienza.
Inoltre, per effetto delle modifiche introdotte dal decreto legge, il richiedente asilo non può più iscriversi al servizio sanitario nazionale e potrà al massimo fruire di cure urgenti o essenziali ospedaliere o ambulatoriali. La grave precarizzazione della condizione del richiedente asilo e il depotenziamento del sistema di accoglienza implementato dagli enti locali insieme con gli enti del terzo settore, che invece finora aveva dato tanta prova positiva, lasceranno i richiedenti asilo a soggiornare in strutture statali o private che sono inadeguate a garantire orientamento legale, una vita dignitosa e l’inclusione sociale dei richiedenti proprio nella delicatissima fase del primo arrivo e dell’esame delle domande di asilo.
Il depotenziamento dello SPRAR incide pure sull’occupazione dei tanti qualificati operatori che lavorano in tali strutture
e potrebbero perciò mettere a rischio anche la sicurezza di 15.000 posti di lavoro, in gran parte di italiani.
Si ritiene così di operare un enorme risparmio finanziario e una maggiore trasparenza dei finanziamenti. Tuttavia, gli episodi
di illeciti fin qui verificatisi sono avvenuti non già nelle strutture di accoglienza dello SPRAR (dotate di operatori professionalizzati),
bensì soprattutto proprio in quelle strutture di accoglienza dei CAS che il decreto legge finisce col potenziare invece di
smantellare.
Queste ambiguità e l’aumento della situazione di inattività dei richiedenti asilo in attesa della conclusione delle procedure
amministrative o giudiziarie non favoriranno certo alcuna inclusione sociale successiva all’eventuale riconoscimento della
protezione internazionale o di altre forme di protezione, ma anzi potrebbe aumentarne la frustrazione e la marginalizzazione.
È evidente che ogni persona che si senta insicura, marginalizzata e impedita nell’inclusione sociale può diventare fonte di
insicurezza per tutti.
Così, ancora una volta, il decreto legge che mira ad aumentare la sicurezza finisce per creare situazioni di ancora maggiore insicurezza per tutti, italiani e stranieri.
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