L’entrata in vigore del decreto Salvini non solo “cambia i connotati” della disciplina dell’immigrazione, ma tocca vari profili legati al tema della sicurezza pubblica; interventi questi che, seppur di dettaglio, è bene non passino
in secondo piano. Insomma, non solo immigrazione, ma molto altro sul tappeto.
Proveremo, dunque, ad offrire una rapida panoramica delle principali novità che coinvolgono il diritto penale e la prevenzione
antiterrorismo.
In primo luogo, il governo dà un “giro di vite” in materia di subappalti illeciti, trasformando le contravvenzioni previste dall’art. 21 del Dlgs. 646/1982 in fattispecie delittuose. D’ora in poi, l’appaltatore
di opere riguardanti una P.A., che concede in subappalto l’esecuzione di tutta o parte dell’opera in assenza dell’autorizzazione
dell’autorità competente, sarà punito con la pena della reclusione da 1 a 5 anni e con la multa non inferiore ad 1/3 del valore
dell’opera subappaltata e non superiore ad 1/3 del valore complessivo dell’opera ricevuta in appalto. Il medesimo trattamento
sanzionatorio — lo stesso, di fatto, di quello stabilito per il delitto di frode in pubbliche forniture (art. 356 c.p.) —
si applicherà anche al subappaltatore. Insomma, da domani, scegliere di subappaltare senza autorizzazione può costare davvero
caro.
Altro “giro di vite” si ha in materia di invasione di edifici o terreni ex art. 633 c.p.: pene più severe nei confronti dei promotori, degli organizzatori e di coloro che commettono il fatto armati
quando l’occupazione sia realizzata da più di dieci persone (ne bastano cinque quando una di esse è armata). Costoro, infatti,
saranno ora puniti con la reclusione fino a 4 anni e la multa da 206 a 2.064 euro: il doppio della pena prima prevista.
L’ultimo “giro di vite” vede coinvolti gli illeciti, dal sapore un po’ rétro, di cui agli artt. 1 e 1-bis d.lgs. 66/1948.
Fino ad oggi, chi deponeva o abbandonava congegni (o altri oggetti) su una strada ferrata al fine di impedire o ostacolare la circolazione, commetteva un delitto; chi, invece, realizzava le medesime condotte, ma
su una strada ordinaria oppure “comunque” ostruiva o ingombrava una strada con il medesimo fine, commetteva un illecito amministrativo.
Bene, tali due ipotesi vengono ora fuse in un’unica fattispecie a carattere delittuoso, punita con la pena della reclusione
da 1 a 6 anni.
Ad un primo sguardo, sembrerebbe che tali modifiche non abbiano nulla a che vedere le une con le altre. Volendo ricercare
“un’identità di ratio”, esse si prestano, però, ad essere lette nella più ampia cornice dell’intero decreto, che fa dell’immigrato
irregolare — e di chi lo aiuta — la “minaccia” alla sicurezza. In tale ottica, esse potrebbero essere viste come un tentativo
di colpire più severamente quelle manifestazioni delittuose in cui si ritiene, non senza una certa dose di luogo comune, che
“uno straniero c’entri sempre”: i subappalti illeciti in cui spesso è impiegata manodopera “in nero”; le occupazioni abusive
di edifici; le manifestazioni, gli assembramenti e i sit-in non autorizzati.
Invece, in tema di prevenzione del terrorismo — la minaccia “per eccellenza” alla sicurezza pubblica —, il governo “tira fuori dal cilindro” un istituto di vecchia data: il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono le manifestazioni sportive di cui all’art. 6 l. 401/1989, meglio noto con l’acronimo Daspo Si tratta di una misura di prevenzione disposta dal questore — non soggetta a giudizio di convalida — finalizzata a prevenire la violenza in occasione delle manifestazioni sportive e si sostanzia, per farla breve, in un divieto di accesso ai luoghi in cui queste si svolgono. Ebbene, la disciplina del Daspo viene ora estesa ai “potenziali terroristi” e ai “sovversivi” di cui all’art. 4, co. I, lett. d) del codice antimafia, vale a dire: a) gli indiziati per un delitto, consumato o tentato, con finalità di terrorismo ex art. 51, co. 3-quater, c.p.p.; b) coloro che, da soli o in gruppo, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti, alternativamente, a sovvertire l’ordinamento dello Stato attraverso la commissione di uno dei reati tassativamente elencati, oppure a commettere un reato con finalità di terrorismo, anche internazionale, ovvero a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegua le finalità terroristiche di cui all’art. 270-sexies c.p. (fenomeno dei c.d. foreign fighters).
A tali soggetti, dunque, oltre alle misure di prevenzione “tradizionali” disciplinate dal codice antimafia potrà essere imposto
anche il divieto di accedere ai luoghi in cui si svolgono le manifestazioni sportive. Chiara la ratio di tale intervento:
«é noto che le manifestazioni sportive, costituendo momento di aggregazione di persone, possano rappresentare un obbiettivo
sensibile per potenziali attacchi terroristici» (così la relazione illustrativa).
L’estensione di tale strumento di prevenzione ai potenziali terroristi era davvero necessaria? Forse no. La prassi mostra, infatti, un ridotto utilizzo delle misure di prevenzione personali nel settore specifico del terrorismo,
che ci pare possa essere dettato dalla tendenziale sovrapposizione tra l’ambito di applicazione delle misure di prevenzione
e quello delle corrispondenti fattispecie criminose. Oltre a tale ragione di carattere generale, lascia perplessi il fatto
che si sia scelto di accomunare, in buona sostanza, il potenziale terrorista (che magari mai ha preso parte ad eventi sportivi)
all’“hooligan” cui viene vietato l’accesso allo stadio proprio in ragione di precedenti comportamenti violenti in occasione
delle partite.
Insomma, l’impressione è che la scelta operata dal governo abbia più che altro un valore simbolico e sia dettata dall’intento
di suscitare consensi nella platea elettorale, ma la cui opportunità in termini di prevenzione del terrorismo sarà tutta da
verificare.
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