Aspettare un bambino e dover entrare in sala operatoria, ma non per partorire. Entrarci alla 22esima settimana, quando il bambino pesa meno di mezzo chilo. Entrarci con la paura ma anche con la speranza di salvarlo. E la speranza si avvera: il bambino è salvo e sta bene. È quello che è successo alla donna che è stata operata all’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano lo scorso mese di ottobre: tre settimane prima al suo bimbo era stata diagnosticata una malformazione, quella della spina bifida.
Un difetto congenito (colpisce un feto su 1.300) causato dalla chiusura incompleta di una o più vertebre, che può portare a conseguenze anche molto gravi e a disabilità motorie e funzionali come la perdita della mobilità degli arti inferiori e altre complicazioni neurologiche.
Ma a sbarrare la strada di questa malformazione si sono messi conoscenze, cuore, tecnologia e “visione” dell’equipe medica
che l’ha presa in cura. Il bambino, nato una decina di giorni fa alla 35esima settimana, dà un segnale forte a tutte le coppie che ricevono la diagnosi di spina bifida: «Il neonato muove correttamente gli arti inferiori e non avrà quindi bisogno di ulteriori interventi di correzione chirurgica
nella sede della pre-esistente spina bifida», comunicano con soddisfazione dall’ospedale. Una soddisfazione che si trasforma
in fiducia per il futuro perché la riuscita dell’intervento potrebbe rappresentare una svolta nell’approccio a questo tipo
di malformazioni.
«Questo tipo di intervento - spiega infatti il professor Massimo Candiani, primario di ginecologia e ostetricia - è un traguardo importante nel campo della terapia fetale perché permette migliori opportunità di cura rispetto ai risultati che oggi si possono ottenere con le terapie effettuate in epoca neonatale. Questa scelta terapeutica, non sperimentale e supportata da solide basi scientifiche, è un'opzione importante per le donne gravide a cui è stata diagnosticata questa malformazione fetale».
L’operazione eseguita - e riuscita - al San Raffaele ha dato al bambino una seconda vita, prima ancora che il piccolo vedesse la luce . L’intervento ha infatti permesso la correzione completa della spina bifida in utero con una tecnica mai utilizzata prima in Europa: l’approccio innovativo ha permesso la riparazione definitiva del difetto dorsale congenito fetale, con un impatto minimo a livello uterino e quindi rischi ridotti per la madre e per la prosecuzione della gravidanza. Chiave del successo dell’intervento è la collaborazione interdisciplinare tra specialisti: l’operazione - durata poco più di due ore - è infatti stata coordinata dal professor Candiani e dal professor Pietro Mortini, primario di neurochirurgia, che hanno collaborato con il prof. Fabio Andrioli Peralta, ginecologo ed esperto in chirurgia fetale di San Paolo (Brasile), che ha sviluppato la tecnica già utilizzata su oltre 200 pazienti. Complessivamente, l’equipe intervenuta nelle fasi pre-operatorie, interventistiche e post-natali del bambino nato al San Raffaele ha coinvolto ginecologi-ostetrici, neurochirurghi, genetisti, neuroradiologi, anestesisti, neonatologi, neurologi, ostetriche, infermieri e puericultrici.
«Il primato europeo - spiega Candiani - è frutto della combinazione di tre elementi: il ridotto trauma uterino derivante dalla piccola incisione, la correzione definitiva del difetto mediante tecnica microneurochirurgica e l’epoca gestazionale precoce, che permette al feto una rigenerazione in utero».
Secondo Mortini, infatti, «i bambini con spina bifida operati in utero hanno una prognosi migliore dopo la nascita e maggiori possibilità di recupero rispetto a quelli operati da neonati perché, dopo l’intervento di correzione completa del difetto, il processo di riparazione prosegue nelle settimane successive di gravidanza e porta verso la normalità le strutture e le funzioni neurologiche del bambino».
L’Associazione Spina Bifida Italia parla di un malformazione che colpisce un feto su 1.300. Fino a ora i neonati affetti da questa patologia venivano operati nei primi giorni di vita, per limitare la possibilità di infezioni e i danni spinali, ma non sempre gli interventi chirurgici hanno avuto esito risolutivo. L’operazione eseguita al San Raffaele apre, adesso, le porte alla speranza: riparare in maniera definitiva il difetto dorsale si può, ancor prima della nascita.
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