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Dossier | N. 73 articoli Il reddito di cittadinanza

Reddito di cittadinanza, tutti i lavori che si possono rifiutare senza perdere il sussidio

Lavori stagionali, part-time, da apprendisti o a chiamata. Impieghi in agricoltura o nell’artigianato, nel commercio o nella ristorazione. È ampio il ventaglio delle offerte di occupazione che potranno essere rifiutate dai percettori del reddito di cittadinanza, senza perdere il sussidio: sia per il tetto minimo di stipendio di 858 euro introdotto al Senato durante l’esame del Dl 4/2019, sia per il riferimento all’offerta «congrua», cioè a tempo pieno e indeterminato.

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Salvo modifiche al provvedimento - all’esame della Camera per la conversione in legge - le tre offerte che i centri per l’impiego sottoporranno ai beneficiari del reddito di cittadinanza dovranno essere congrue. Solo dopo il terzo rifiuto, decadrà il beneficio. Un meccanismo simile che ricorda quello per i percettori di disoccupazione (Naspi o Dis-coll): in questo caso, però, basta non accettare una sola proposta congrua per perdere l’indennità.

I tre paletti della congruità e il tetto minimo
Ma quando un’offerta di lavoro è «congrua»? I requisiti sono tre e devono essere presenti tutti insieme (come prevede il Dm 10 aprile 2018 del ministero del Lavoro): tempo indeterminato (o a termine o di somministrazione di almeno tre mesi); a tempo pieno o con un orario non inferiore all’80% dell’ultimo contratto di lavoro; retribuzione non inferiore ai minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

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È evidente che questi tre requisiti tutti insieme rischiano di tagliare fuori una gran quantità di proposte, soprattutto se si tratta di un primo impiego. «In audizione al Parlamento - afferma Pierangelo Albini, responsabile lavoro di Confindustria - abbiamo già sottolineato le nostre perplessità su questa misura. Alle imprese viene chiesto di pagare di più i lavoratori, ma ci si scorda che, per effetto del cuneo fiscale e contributivo, il netto in busta paga è solo la punta dell’iceberg».

CINQUE (BUONI) LAVORI CHE SI POSSONO RIFIUTARE
Alcuni esempi di buste paga che rispettano i minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Esempi a cura di Daniela Amandola

Un altro paletto, non meno stringente, è il tetto minimo di retribuzione mensile. Un emendamento al Dl 4/2019 approvato al Senato ha aggiunto che l’offerta di lavoro congrua debba prevedere una retribuzione «superiore di almeno il 10 per cento del beneficio massimo fruibile da un solo individuo, inclusivo della componente ad integrazione del reddito dei nuclei residenti in abitazione in locazione». Significa almeno 858 euro (780 euro +78) al mese. «L’introduzione di un nuovo livello di retribuzione minima per considerare l’offerta di lavoro congrua - aggiunge Albini - crea un’ingiusta disparità tra disoccupati. Per non perdere il sussidio, i percettori di Naspi, saranno costretti ad accettare retribuzioni più basse di quelle che sono considerate congrue per i percettori del reddito di cittadinanza».

Sul mercato, come emerge dalle elaborazioni del Sole 24 Ore , ci sono diverse offerte occupazionali sotto queste cifre e che, con il reddito di cittadinanza, potrebbero diventare “rifiutabili” e perdere appeal. È il caso di molti stagionali: in agricoltura, per 180 giornate annue al minimo contrattuale si arriva a una paga di 505,05 euro al mese. Anche molte offerte a orario ridotto sono inferiori agli 858 euro: un part-time al 50% con il contratto alimentari-industria, di 5° livello, percepisce 807,41 euro per 20 ore settimanali; un commesso di negozio (sempre in part-time al 50%, 4°livello) arriva a 808,34 euro.

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Infine, ci sono gli apprendistati, dove il tempo indeterminato non basta a rendere congrue alcune proposte di lavoro: si pensi a un parrucchiere, al suo primo anno, che ha una retribuzione pari a circa 828 euro al mese per 40 ore settimanali.

Il tetto potrebbe tradursi in problemi concreti per le imprese: «Temiamo - afferma Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio - di avere difficoltà a reperire risorse in futuro. In particolare per i part-time, molto diffusi nel settore, soprattutto tra il personale femminile. Poi ci sono tutte le attività stagionali e i lavori a chiamata, che rispondono ai picchi produttivi».

Imprese di pulizia, call center e colf
Il rischio di creare distorsioni nel recruitment vale anche per le imprese di pulizia e dei servizi integrati, dove si calcola un 70% di part-time su circa 500mila lavoratori: pulitori, addetti mensa, portinai e manutentori potrebbero essere spinti «in maniera massiccia a uscire, anzichè entrare, dal mercato del lavoro», afferma Lorenzo Mattioli presidente dell’Anip, che stima intorno agli 860 euro la mensilità media dell’intera platea dei lavoratori del settore. «Anche se pensare che qualcuno voglia perdere diritti, previdenza e assistenza ci pare poco realistico», aggiunge Mattioli.

Alla levata di scudi partecipa Confartigianato: «Questa soglia - dice il presidente Giorgio Merletti- può disincentivare contratti che costituiscono canali di ingresso nel mercato di lavoro di persone in condizione di bassa occupabilità».

La preoccupazione sfiora i call center: «Molti addetti fanno poche ore al giorno - afferma Paolo Sarzana, presidente Assocontact - e le assunzioni sono legate alla volatilità delle commesse». Con il tetto minimo, infine, secondo Andrea Zini, vicepresidente di Assindatcolf, «si rischia di aumentare la propensione a restare nel campo dell’irregolarità» e nel lavoro domestico si stimano 1,2 milioni di colf, babysitter e badanti in nero.

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