I paletti ci sono, per evitare che il reddito di cittadinanza vada anche ai furbi che possono permettersi di cambiare auto o di mantenere modelli di un certo pregio. In pratica, sottrarsi ai controlli non è impossibile. La norma (Dl 4/2019, articolo 2, lettera c) stabilisce che in famiglia nessuno deve avere autoveicoli immatricolati per la prima volta nei sei mesi antecedenti la richiesta di reddito o autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc o motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei due anni antecedenti. Ma qualche varco resta aperto.
La formulazione della norma non pare non lasciare spiragli, se non a chi ha bisogno di un mezzo per trasportare un disabile: esclude dal reddito di cittadinanza non solo chi è «intestatario a qualunque titolo» dell’autoveicolo nuovo o di cilindrata non bassa, ma pure chi ne ha la «piena disponibilità» . Quindi, si va a vedere anche il fatto che il beneficiario abbia un mezzo a noleggio oppure ne detenga uno in comodato, che è una di quelle fattispecie che dal 2014 vanno registrate se durano più di 30 giorni.
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Però queste registrazioni vanno effettuate sulla carta di circolazione. Quindi, l’ufficio competente è la Motorizzazione. Senonché, come ha scritto Il Sole 24 Ore l’8 marzo, tra i meccanismi automatici di verifica che l’Inps sta mettendo in piedi, quello che riguarda i veicoli si sta costruendo solo con l’Aci, che gestisce il Pra. Dove affluiscono solo i dati relativi alla proprietà dei mezzi.
Quindi, niente comodati né noleggi o altre situazioni analoghe. In questi casi, ci si dovrà affidare a controlli non automatici, onerosi da effettuare.
In ogni caso, tra le norme recenti (volute dalle due diverse anime dell’attuale maggioranza) si è creato un cortocircuito che lascia ai furbi un’alternativa meno a rischio: il noleggio o il leasing con un operatore che non ha sede in Italia.
Infatti, la stretta sui furbetti della targa estera introdotta a dicembre col decreto sicurezza ha un effetto collaterale: è formulata in modo da rendere pienamente lecito circolare permanentemente in Italia con targa straniera, se si ha l’accortezza di stipulare un contratto di leasing o noleggio rivolgendosi a un’azienda che non ha sedi nemmeno secondarie in Italia.
Così il veicolo resta sconosciuto alle banche dati italiane e si può venire scoperti solo se s’incappa in un controllo su strada, ammesso che gli agenti abbiano tempo e voglia di verificare se per caso il guidatore fermato sia tra chi beneficia del reddito di cittadinanza.
Nel decreto sicurezza si è lasciato questo buco per paura di procedure d’infrazione Ue: imporre la targa italiana potrebbe essere ritenuto un ostacolo alla libera circolazione di merci e servizi nel mercato comune europeo.
Ma probabilmente si sarebbero potuti salvare i contratti di leasing e noleggio europei: sarebbe bastato aggiungere l’obbligo di reimmatricolare comunque in Italia, fornendo un indirizzo italiano. Sembra una soluzione in linea con la giurisprudenza della Corte Ue, ma non è stata attuata.
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