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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2012 alle ore 06:36.

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Il Consiglio Superiore da me presieduto si è preoccupato del migliore utilizzo delle risorse. Aveva varato, per la prima volta, le metodologie dei miglioramenti strutturali contro il rischio sismico e della manutenzione programmata dei beni immobili. Questi miglioramenti e manutenzioni, a basso costo, evitano i crolli, che poi impongono restauri cari, ma che non restituiscono quanto è stato perduto. Resta un'ultima razionalizzazione: evitare la doppia piramide gerarchica dell'organizzazione del ministero. Le Direzioni regionali dovrebbero smettere di essere delle numerose super-Soprintendenze e trasformarsi in centri amministrativi interregionali di supporto alle Soprintendenze, che devono restare gli organi essenziali del ministero. Ma devono sintonizzarsi con i tempi, ponendo attenzione a società e visitatori.

Per quanto riguarda il paesaggio, invaso da cemento e anche danneggiato dal degrado idro-geologico, il Codice per i beni culturali è rimasto intatto, grazie a non pochi sforzi fatti in sua difesa. Ma i pochi funzionari hanno pochi minuti da destinare a ciascuna pratica paesaggistica, così che non sono in grado di dare pareri entro i 45 giorni stabiliti dalla legge. Si aggiunga che non un solo piano paesaggistico è stato approvato congiuntamente da Regioni e ministero, al quale mancano i fondi e gli architetti pianificatori, necessari per fronteggiare il compito. L'unica uscita che intravedo sta nel fatto che i Soprintendenti possono integrare con contenuti regolativi i vincoli della legge Galasso, grazie all'articolo 141bis del Codice; e queste integrazioni hanno il vantaggio di poter essere attuate gradualmente.

I privati possono rafforzare l'azione dello Stato, non surrogarla. Il loro concorso è rilevante solo se si concedono vantaggi fiscali. La legge Scotti, che introdusse un regime di fiscalità di vantaggio per i beni culturali (512/1982), ha favorito lo sviluppo di migliaia di piccole e medie imprese specializzate nel restauro. La riforma del catasto e l'Imu colpiscono dimore storiche e beni vincolati. È necessario riconoscere nella disciplina delle rendite catastali la specialità dei beni culturali, anche per tener fede al patto che lega i cittadini allo Stato fin dalla legge 1089/1939. Il vincolo è un limite e un onere per la proprietà, ai quali dovrebbe corrispondere un riconoscimento sul piano fiscale. Eppure nessuna agevolazione è stata concessa.

Attenzione bisogna porre alle fondazioni. Il modello fino a ora seguito comporta il conferimento dei beni, che equivale a un comodato gratuito per la durata di una generazione. Sarebbe da preferire uno statuto che lasci una governance adeguata allo Stato. Se lo Stato mette quasi tutto e il privato un suo rispettabile e limitato contributo, è giusto che a comandare interamente il bene comune sia il privato? Senza una sufficiente libertà di gestione, il privato non riesce a dare il suo contributo progettuale innovativo.

Un aiuto al ministero potrebbe essere dato dalle Università, con una collaborazione organica. Per la conoscenza, la diagnosi e il rilievo tridimensionale di Pompei è stato previsto dal Consiglio Superiore il coinvolgimento delle Università. È questo il presupposto della manutenzione programmata che dovrà seguirne, il tutto finanziato da 105 milioni di euro europei. Ma il contributo universitario potrebbe estendersi anche all'informatizzazione di magazzini e archivi, alla creazione di sistemi informativi territoriali; l'innovazione tecnologica diventa fondamentale in così grave riduzione degli organici. Infine le Università potrebbero creare quei siti informatici delle città italiane e dei territori, per narrare la storia della penisola al mondo. Servono lavori pubblici e start-up in questo settore, capaci di offrire l'Italia al globo - come facevamo un tempo col Grand Tour. Solo così risolleveremo le sorti del turismo culturale.

Dobbiamo infine combinare patrimonio umanistico, musica e spettacolo e produzioni culturali attuali in una straordinaria mediazione tra presente e passato, in vista del futuro. La nostra forza è nella tradizione e nell'innovazione. Potremmo varare un secondo Rinascimento. Ma nessuno fino a ora lo ha voluto e neppure lo ha fatto intravedere.

L'articolo è uno stralcio dell'intervento che Andrea Carandini terrà agli Stati Generali della cultura

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