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Le ragioni dell'euro

17 aprile 2014

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Notizie EuropaL'antidoto alla sfiducia nei cicli economici

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L'antidoto alla sfiducia nei cicli economici

La critica all'austerità è diventata una critica tout court all'Europa. Come se senza l'anima diabolica di Bruxelles, miracolosamente i debiti fossero infine rimessi ai debitori. Questa infantile illusione torna utile in tempi elettorali, quando risuonano slogan che fanno apparire austerità e riforme come una colonna sonora insopportabile e ripetitiva. Una predica che promette un paradiso per infelici, una salvezza priva di sollievo. Forse al fondo della nostra insofferenza c'è la metafora di Paul Celan sul «maestro tedesco» e la sua simbologia mortifera.

Ma anche i più lucidi ormai faticano a districare il giudizio sull'Europa dal linguaggio del sacrificio. Per molti anzi è istintivo alzarsi dalla sedia e rovesciare il banco. Non è sano d'altronde vivere tutta la propria esistenza nell'autocritica, o nell'espiazione pluridecennale dei debiti. Per questo accusare l'Europa ci dà sollievo. Proiettare le colpe su chi ci accusa, prima che l'ansia ci renda nevrotici, è umano, ma non è detto che sia intelligente. Sembrava umano anche, all'ingresso nell'euro, allentare le pene dell'aggiustamento fiscale. Negli stessi anni il Belgio aveva un debito più alto di quello italiano, forze disintegrative che parevano fuori controllo, è rimasto senza governo per 535 giorni. Ma anziché frenare ha perseverato su rigore e riforme: già nel 2007 il debito belga era sceso all'84% del pil. La crisi alla fine ha solo sfiorato il Belgio mentre ha affossato l'Italia.

L'insofferenza italiana alla retorica europeista segue di pochi anni la rivolta nei confronti della politica e della casta. Tuttora il consenso per le istituzioni europee in Italia, pur in grave calo, è più alto del consenso per le istituzioni della democrazia nazionale. Il legame lo ha però colto istintivamente Matteo Renzi che nella campagna per le europee, sta trasformando il motto "cambiare l'Italia", o "la svolta buona", in "cambiare l'Europa". Il bisogno italiano di un netto cambiamento di linguaggio nei confronti dell'Europa non è infatti solo propaganda, ma riflette una lezione costruttiva rimasta nascosta.

La spiegazione è la fine della fiducia nei cicli dell'economia. Per decenni ogni recessione italiana è sempre stata seguita da una ripresa, benché sempre più debole. Era sufficiente attendere di agganciare la ripresa estera, o aspettare che gli stabilizzatori automatici funzionassero, e l'economia sarebbe tornata in equilibrio. Per questo abbiamo avuto capi di governo e ministri dell'economia che sottolineavano l'importanza della stabilità e della credibilità internazionale, attraverso una retorica europeista tradizionale. La stabilità era necessaria a non stravolgere i fattori del ciclo in vista della ripresa, mentre la credibilità era determinante a mantenere l'economia italiana aperta alla domanda estera e ai flussi di capitale internazionali che avrebbero innescato la risalita di consumi e investimenti.

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