Nasce nel 1971 a Samarra, studia poesia e letteratura a all'Università Islamica di Baghdad, inizia la carriera da terrorista poco prima del 2003, anno della caduta di Saddam Hussein. È prigioniero degli americani a Bocca Camp nel sud dell'Iraq dal 2003 al 2009; poi il buio come da manuale di aspirante leader del terrore. Nel 2010 riemerge capo di Al Qaeda in Iraq (AQI), è però solo nell'ultimo anno che AbuBakr al-Baghdadi, vero nome Awwad Ibrahim Ali al-Badri al-Samarrai, soprannome Abu Dua, è definito il leader jihadista più potente del mondo, aspirante erede di Osama bin Laden, l'uomo che nei prossimi anni condizionerà il futuro dell'Iraq, della Siria e di tutto il Medio Oriente.
È lui il vincitore nella conquista di Mosul, la seconda città più grande dell'Iraq, la "capitale" del Nord del Paese da martedì nelle mani delle milizie sunnite. È lui il capo dell'Isil (lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante, gruppo islamista estremista a cui si attribuiscono le crocifissioni di miliziani rivali in Siria diffuse su Internet di cui non è certa l'autenticità, detto anche Isis e Daesh in arabo). È lui che emerge dalla complicata galassia di sigle terroristiche fra Iraq e Siria e succede al vecchio dottore Al Zawahiri, lo storico numero due di Osama Bin Laden e cofondatore di Al Qaeda con cui ha in comune la giovanile passione per la poesia.
Sullo sfondo dell'ascesa di Abu Dua fra Iraq e Siria vi è lo scontro all'interno dell'estremismo islamico fra i sunniti e gli sciiti. I sunniti al potere in Iraq durante il ventennio di Saddam, in disgrazia dopo la sua esecuzione, trovano nella rivolta siriana del 2011 contro il presidente Assad, leader della minoranza alawita (setta sciita), un'occasione di rinvincita e rinascita violenta. Così è: l'Isil di Abu Dua è composto per lo più da migliaia di combattenti sunniti che hanno combattutto altre sigle sunnite e considerano eretici gli sciiti.
Non è certo se questo quarantantrenne di Samarra debba la sua fortuna all'Al Qaeda dell'Iraq, agli Stati Uniti o all'intelligence irachena, fatto sta che in questo momento gioca un ruolo di primo piano. La presa di Mosul è anche la prova di forza di uno scontro fra milizie sunnite e un governo a guida sciita. La prima conseguenza della caduta di Mosul e provincia - stima l'International Organization for Migration - è la fuga di 500mila persone nel giro di 48 ore. Alla fine altri profughi, migliaia di persone senza più casa in cerca di pace.
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