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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2014 alle ore 07:32.
L'ultima modifica è del 07 luglio 2014 alle ore 12:47.
«La Silicon Valley mi ha cambiato la vita. Ma se ce l'ho fatta è solo per un motivo culturale. Sono un uomo del Sud. Partito da Cava de' Tirreni, alle porte della Costiera Amalfitana, ho portato con me l'arte di arrangiarmi e la voglia di farcela». Adriano Farano, 34 anni, ha creato a Menlo Park, in California, Watchup , un' App per iPad e iPhone che reinventa il concetto di telegiornale e permette di avere in un'unica applicazione video-news di diverse emittenti. La sua startup, avviata con 600 dollari, ha poi raccolto finanziamenti per 1,5 milioni di dollari (da investitori giganti come la Microsoft di Bill Gates).
«Per la Silicon Valley ero un ragazzo italiano arrivato dal nulla. Non conoscevo nessuno e dovevo dimostrare di avere le carte in regola. Il mio era un problema di credibilità. La competizione qui è altissima: anche se è la Mecca dell'accesso al credito, solo una startup su 300 riesce a ottenere finanziamenti» racconta Farano a IlSole24Ore.com. Ex bambino prodigio, Farano è stato fulminato dalla passione per le video-news a 9 anni. «Era il 1989. Il primo telegiornale che ho visto nella mia vita raccontava il crollo del muro di Berlino. Il giorno dopo, a scuola, mi sono accorto che nessuno dei miei compagni aveva sentito la notizia. Tornato a casa ho preso dei fogli e messo insieme quello che ho chiamato "Il giornalino di Berlino". Facevo le fotocopie e lo vendevo per 500 lire. Ho "assunto" 4 bambini che sapevano scrivere e disegnare e prodotto almeno 5 numeri. Quando la maestra si è accorta che a scuola giravano dei soldi, ha vietato la pubblicazione. In America mi avrebbero dato un premio. Lì ho capito, seppur inconsciamente, che per farcela sarei dovuto andare altrove».
Nel 2001, Farano è già all'estero. E' uno studente Erasmus a Strasburgo. Qui fonda un giornale online, multilingue, che si chiama CaféBabel.com. Esiste ancora e ha redazioni in 35 città europee. «Quella è stata la prima iniziativa in Europa a viaggiare sull'onda del giornalismo partecipativo». Grazie a questa esperienza, nel 2010, vince la Knight Fellowships, una borsa di ricerca all'università di Stanford in California che offre a 20 giornalisti di tutto il mondo la possibilità di lanciare un progetto sperimentale per rinnovare il giornalismo.
«Era la mia grande occasione. Sono partito per gli USA con moglie e due figli (la più piccola aveva 3 mesi). Avevamo la casa, il visto, un sacco di appoggi». Ma un anno passa in fretta, il visto scade e Farano deve tornare in Europa. «Mi sentivo come Cenerentola alla fine della festa, perché ormai ero innamorato di questo pezzo di mondo e volevo restare». Ottiene allora un visto per "stranieri con abilità straordinarie" ("aliens with extraordinary abilities"), e inizia a lavorare a Watchup. «Avere un'idea è già un grande passo, ma trasformarla in un prodotto è un'altra cosa». Cerca un co-founder tecnico, con cui lavora duramente e per mesi non vede un dollaro. «Ho raccolto i primi 500mila dollari in 100 appuntamenti. I primi 30 sono andati tutti male. Ma io non mollavo. Ci credevo. Questa è la golden age del giornalismo. Non c'è mai stata cosi tanta produzione di informazioni e le persone non hanno mai passato tanto tempo per leggere le notizie».
Cosi Farano crea un team competente («qui si dice capace di execution, di seguire cioè la visione del fondatore»). E grazie alla sua tenacia inizia a raccogliere consensi. Quando incontra l'ex direttore del Wall Street Journal, Gordon Crovitz, uno dei primi finanziatori di Watchup, si sente dire: «Se hai lasciato la Costiera Amalfitana e i posti più belli del mondo per fare una startup, è perché ci credi veramente. E io con te». Anche con l'investitore di Microsoft, di origine italiane, la ciliegina sulla torta è stata la sua provenienza dall'Italia. Oggi, con in cassa 1,5 milioni di dollari, Farano assume nuovi tecnici e lavora per portare Watchup su Android. Intanto pensa a un nuovo round di finanziamenti e sogna la quotazione in Borsa.
«Siamo vicini di casa di Facebook. Abbiamo qualche miliardo in meno, ma la stessa forza di volontà. Il ritmo di lavoro è molto intenso, ma mi ritengo un privilegiato. Credo che sia il contatto con la natura a rendere la Silicon Valley il luogo più innovativo del mondo. Qui c'è un'alta densità di imprenditori, startupper, investitori, ingegneri. Eppure è un posto dove ci si gode la vita. Se sali su una collina vedi la Silicon Valley ricoperta di alberi. Il mare è vicino. C'è la Napa valley, dove si fa il vino. Nessuno indossa giacca e cravatta. Gli investitori arrivano agli appuntamenti in tuta, sudati, dopo aver fatto jogging». «Tutti fanno una startup. E tutti condividono un motto: get out of the building. Esci dagli uffici e parla con la gente per chiedere cosa ne pensa. Essere in Silicon Valley significa scendere dal panettiere per convalidare la bontà di un'interfaccia grafica. Le tecnologie che vengono pensate qui finiscono per diventare universali perché qui si parla all'utente più che altrove».
Se fossi rimasto in Italia ce l'avresti fatta? «No. Mai. Avrei forse potuto fare altro ma non una startup innovativa. Servono fondi che in Italia non ci sono. Manca un'ecosistema che ti supporta. Per farcela bisogna ancora passare da qui. Ma in Italia c'è altro. C'è il gusto per la bellezza e le cose fatte bene che non esistono in nessuna parte del mondo. Onore a chi si batte per tenere alto il nome del nostro Paese. Dentro o fuori i confini».
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