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Questo articolo è stato pubblicato il 01 luglio 2014 alle ore 07:11.
L'ultima modifica è del 01 luglio 2014 alle ore 15:46.

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Quando si rievocano i «Tango Bond» si pensa a una situazione maledettamente complicata, ma che in qualche modo si stava avviando a una soluzione (pur con «feriti» più o meno gravi) dopo la ristrutturazione chiesta e ottenuta dal governo argentino. Gli eventi degli ultimi giorni rischiano però di rendere, se possibile, ancora più ingarbugliata la questione e c'è pure chi rievoca lo spettro un nuovo default. Ma anche di riaprire qualche spiraglio forse insperato per chi, a suo tempo, ha deciso di non accettare le pesantissime condizioni imposte da Buenos Aires.

Scattato il «periodo di grazia»
Con il mancato pagamento delle cedole maturate su alcuni bond ristrutturati, ieri si è di fatto aperto il «periodo di grazia» di 30 giorni entro il quale l'Argentina deve mettersi in regola. Un evento contestato però da Buenos Aires, che acquistando in questi giorni spazi pubblicitari sui principali giornali mondiali ha fatto sapere di avere effettivamente versato al fiduciario Bank of New York Mellon i 539 milioni di dollari previsti e che soltanto per il blocco decretato dal giudice Thomas Griesa della Corte Suprema Usa questo denaro non ha potuto raggiungere i sottoscrittori, avviando quindi le procedure per decretare un default tecnico.

Il principio del «pari passu»
Intimando all'Argentina di pagare 1,5 miliardi di dollari a favore di quei fondi (Nml Capital, Aurelio e Blue Angel) che non hanno aderito alla ristrutturazione, Griesa potrebbe però indirettamente smuovere anche le acque per i circa 50mila risparmiatori italiani che nel 2005 e nel 2010 hanno rifiutato il concambio e non hanno accettato la perdita prevista del 70% del capitale investito. Il motivo è semplice e basato sul principio del «pari passu» (clausola contenuta nella documentazione originale del bond): i creditori devono essere trattati allo stesso modo, quindi ogni volta che viene versata una cedola a coloro che hanno accettato i nuovi bond, deve essere pagato anche chi non ha accettato la ristrutturazione per l'ammontare pattuito dal bond originario (cioè il totale, visto che il titolo è scaduto).

Nuovi spiragli
«Sembra essersi aperto uno spiraglio per una trattativa - conferma in effetti Barbara Giani, analista di JCI Capital Ltd - anche se restano molte questioni da affrontare: la prima e la più importante riguarda l'eventualità che altri creditori, che non hanno aderito alla ristrutturazione, possano pretendere il rimborso completo come il fondo Nml». I numeri in questo caso sarebbero infatti molto diversi: onorare la sentenza comporterebbe infatti l'esborso di una cifra di soli 1,5 miliardi di dollari, importo molto contenuto rispetto ai 28-30 miliardi di dollari delle riserve attuali, mentre secondo il Ministro dell'Economia argentino, Axel Kicillof, se anche gli altri creditori pretendessero il pagamento i numeri salirebbero velocemente fino a 15 miliardi di dollari, rendendo impensabile e impraticabile la via del rimborso totale e immediato.

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