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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2014 alle ore 16:35.
L'ultima modifica è del 17 luglio 2014 alle ore 17:08.

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Si può fare. A promuovere la soluzione alternativa del bond per finanziare l'alleggerimento delle bollette elettriche alleviando la componente A3 che serve per sostenere le energie rinnovabili sono gli stessi fondi di investimento che avevano minacciato tempesta sulla soluzione trovata dal governo per rispettare la promessa di tagliare del 10% i costi per l'elettricità delle piccole e medie imprese: un taglio secco agli incentivi per il fotovoltaico spalmando i rimborsi su 24 anni invece che su 20, oppure (a scelta per il beneficiario del sussidio) un taglio secco in percentuale.

L'ipotesi alternativa della cartolarizzazione con l'emissione di un bond in capo al Gse è contenuta in una raffica di emendamenti al decreto competitività predisposto dal governo, presentati anche dal partito di maggioranza, il Pd. E gli operatori del fotovoltaico, che avevano minacciato un'ondata di ricorsi contestando l'illegittimità di una manovra con effetto retroattivo che avrebbe sconvolto i piani di investimento, promuovono questa soluzione. Che però trova, almeno per ora, l'opposizione del governo: un contributo equilibrato delle parti in causa per ridimensionare l'eccesso di privilegi del passato rimane l'unica soluzione davvero efficace, ha appena sintetizzato il sottosegretario al ministero delle attività produttive Claudio De Vincenti.

I fondi all'attacco
Il sì alla soluzione alternativa del bond, sostenuta anche dalla Confindustria, è invece venuto, sempre nelle ultime ore, dalla nutrita compagine di più di 20 fondi di investimento italiani e internazionali che hanno costituito un "comitato di rappresentanza" pronto a mobilitare i legali sia in Italia che in Europa: da Antin a Platina, da Orizzonte a Terra Firma, da Impax a Riverstone. Il ricorso al bond «eviterebbe – rimarcano in una nota congiunta - un taglio retroattivo e discriminatorio delle tariffe per i grandi impianti fotovoltaici che ci costringerebbe ad avviare un contenzioso sia nazionale sia europeo che danneggerebbe in modo grave la credibilità del Paese come destinazione per gli investimenti internazionali». «Siamo fondi di natura non speculativa – fanno notare - focalizzati su investimenti a lungo termine per lo sviluppo di infrastrutture» che hanno impegnato «circa 4 miliardi di euro nel solo settore del fotovoltaico, dove possediamo e gestiamo impianti per oltre 1.000 megawatt» mobilitando capitali che provengono «principalmente da casse di previdenza sociale, compagnie di assicurazione e fondi sovrani». «La scelta di investire nel fotovoltaico italiano si è basata sull'esistenza di un sistema di incentivi totalmente bilanciato e stabile nel tempo, negli scorsi anni ampiamente pubblicizzato dallo Stato italiano con incontri dedicati agli investitori esteri». Guai a vanificare i piani di investimento «ledendo in maniera irrecuperabile il valore dei nostri investimenti in Italia e minando la fiducia degli investitori nella destinazione Italia».

Il nodo del debito pubblico
Obiezioni, e trappole, non mancano. Tant'è che i fondi intervengono anche sull'altolà già lanciato (l'ipotesi del bond "spalma incentivi" non è nuova, era emersa anche dal Governo di Enrico Letta) dal Ministero dell'economia e dalla Ragioneria dello Stato: secondo le norme aggiornate di contabilità pubblica il bond concorrerebbe ad incrementare il debito pubblico. I Fondi contestano l'obiezione. «Siamo in presenza – fanno notare - di un'intrinseca contraddizione di fondo: lo Stato, tramite il GSE, ha ad oggi già contratto delle garanzie sulle obbligazioni di pagamento ai produttori di energia rinnovabile e assimilata; lo ha fatto perché sebbene tali pagamenti vengano alla fine fatti dagli utenti elettrici e raccolti alternativamente dal GSE o dalla Cassa Conguaglio del settore Elettrico, lo stato garantisce tramite il GSE eventuali squilibri temporanei di cassa che si vengono a generare. Lo stesso GSE peraltro nella ben nota retrocessione del credito che viene applicata in ogni contratto di finanziamento, sia project che leasing, accetta inevitabilmente che vi sia un'obbligazione futura verso i produttori, obbligazione che per espressa accettazione da parte del GSE viene poi assunta nei confronti dei soggetti finanziatori». E comunque sia gli approfondimenti tecnici legati agli emendamenti presentati sia «autorevoli pareri di carattere giurisprudenziale» indicano che «il GSE non può ad oggi essere considerato parte del perimetro dello Stato». Ecco perché nulla osta - insistono i fondi nella loro memoria – all' "operazione bond".

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