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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2014 alle ore 18:09.
L'ultima modifica è del 07 agosto 2014 alle ore 11:11.

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Vladimir Putin (LaPresse)Vladimir Putin (LaPresse)

Le mele dalla Polonia, i latticini dall'Ucraina, la carne dall'Australia e dalla Romania: la lista dei prodotti agricoli bloccati ai confini della Russia ormai si allungava ogni giorno, primo segnale concreto dell'irritazione di Mosca nei confronti dei Paesi che hanno adottato sanzioni per protestare contro le interferenze russe nell'Ucraina dell'Est.

Martedì Vladimir Putin aveva rotto il silenzio da Voronezh, ordinando al Governo di Dmitrij Medvedev di preparare una serie di misure di ritorsione, evitando di danneggiare i produttori interni. E mercoledì pomeriggio il presidente russo ha messo nero su bianco, firmando un decreto in cui, «nella difesa degli interessi nazionali della Federazione russa», ordina di «vietare o limitare per un anno… l'ingresso nel territorio della Federazione russa di prodotti agricoli, materie prime e alimentari prodotti dai Paesi i cui governi hanno preso la decisione di introdurre sanzioni economiche nei confronti di persone fisiche o giuridiche russe».

Putin fa espressamente riferimento alle sanzioni per la prima volta, là dove finora il blocco delle importazioni veniva spiegato con ragioni sanitarie. È anche da notare che il divieto si prolungherà per un anno, mentre le sanzioni settoriali introdotte a fine luglio dai leader europei - nei settori della difesa, dell'energia e della finanza - hanno un orizzonte più limitato, e saranno sottoposte a revisione il 31 ottobre.

Putin ha dato ordine al governo di preparare una lista dettagliata di prodotti, definita in modo da non squilibrare i mercati e non provocare ulteriori aumenti dei prezzi (l'inflazione, oggi superiore al 7%, è al centro delle preoccupazioni delle autorità russe). Si chiede inoltre di assicurare un corrispondente aumento della produzione locale.

Al confine con l'Ucraina sempre più soldati russi. La Nato: sono 20mila
Il presidente russo ha dichiarato guerra alle sanzioni nel momento in cui cresce l'allarme per la possibilità di una guerra vera e propria in Ucraina. Sui suoi confini occidentali a ridosso della regione in cui si combatte da aprile la Russia ormai ha ammassato circa 20mila uomini in assetto da combattimento, avverte la Nato. Con il timore che possa usare il pretesto di una missione umanitaria per far entrare in Ucraina, a fianco dei 15mila militanti separatisti, dei "peacekeeper": che maschererebbero un'invasione.

In aprile scorso, i russi schierati al confine erano 40mila, oggi le cifre di questa nuova mobilitazione - accompagnata da massicce esercitazioni aeree - variano a seconda della fonte: Kiev, che conta anche i 20mila militari russi in Crimea, parla di 45mila uomini. Tutti però sono d'accordo sul fatto che l'armata si è gonfiata sensibilmente negli ultimi giorni, appoggiata da armamenti di cui Andriy Lysenko, portavoce militare ucraino, fa un elenco puntuale: 160 carri armati, 1.360 blindati, 192 aerei da guerra e 137 elicotteri, oltre ad artiglieria e a lanciarazzi.
«Abbiamo ragione di credere che i rischi di un'incursione siano cresciuti rispetto a pochi giorni fa», ha detto mercoledì a Varsavia il primo ministro polacco Donald Tusk. Il suo ministro degli Esteri, Radoslaw Sikorski, aveva avvertito il giorno precedente che le forze e gli armamenti ammassati al confine «servono a esercitare pressioni oppure a invadere».


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