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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2014 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 12 agosto 2014 alle ore 09:29.

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Nessun allarme, massima vigilanza e determinazione per evitare il ricorso a una manovra correttiva, che Renzi e Padoan continuano a escludere, ma soprattutto per aprire una breccia in Europa. Una breccia da aprire fin dalla riunione informale dell'Ecofin in programma il 13 settembre con l'obiettivo di accelerare sulle azioni dirette alla crescita e al sostegno degli investimenti. Peraltro il premier al Financial Times ha rivendicato l'autonomia nelle decisioni rispetto a Troika, Bce e Commissione europea (e di agenda per la crescita Ue ieri Renzi ha parlato anche nella telefonata con il presidente Usa Obama).

Dopo la gelata abbattutasi sul Pil nel secondo trimestre dell'anno, che proietta su base annua una variazione negativa pari a -0,3%, la strategia del governo, da mettere in campo subito dopo la pausa estiva, passa attraverso due strade obbligate: l'accelerazione delle riforme, la contemporanea trattativa con Bruxelles (da avviare subito ma con risultati attesi non prima di novembre) per far scattare dal 2015 le «clausole attenuanti» previste dal Fiscal compact in presenza di una prolungata fase recessiva. E ieri la stessa Ue si è fatta sentire con il portavoce della Commissione europea Michael Jennings: «L'attuazione delle riforme strutturali è una questione che riguarda lo Stato italiano», ha detto, ricordando che l'Italia «ha già assunto quest'impegno» con la Commissione e che «le riforme strutturali, attuate in modo efficace, creano le condizioni per la crescita e per l'occupazione».

Il risultato per l'anno in corso pare ormai compromesso, come non ha mancato di rilevare ieri Moody's, che tuttavia fissa l'asticella del deficit al 2,7 per cento. Si tratta se mai di limitare i danni, puntando con la legge di stabilità tutte le carte sul 2015. Renzi assicura che il tetto massimo del 3% nel rapporto deficit/pil non sarà sforato e questa è la linea anche di Padoan che tuttavia è ben consapevole che la frenata del Pil già a bocce ferme comporterà lo scivolamento del deficit nominale dal 2,6% previsto in aprile al 2,8-2,9 per cento. Siamo dunque a un passo dal limite massimo oltre il quale scatterebbe la procedura d'infrazione, e con l'ulteriore contrazione del Pil pare compromesso anche il percorso di riduzione dal deficit strutturale (depurato dagli effetti del ciclo e dalle una tantum) così come richiesto da Bruxelles nelle raccomandazioni del 2 giugno e fatte proprie dal consiglio Ecofin l'8 luglio. Si tratta ora di ridiscutere quel passaggio delle otto raccomandazioni rivolte al nostro paese, in cui si invita il governo a mettere in atto «sforzi aggiuntivi» già quest'anno così da colmare lo scarto tra la riduzione del deficit strutturale chiesta dalla Commissione (0,7%) e quella prevista dal governo (0,1%). Lo stesso Padoan, già nel Def di aprile, si era impegnato a correggere le «dinamiche tendenziali» di finanza pubblica nel 2015, attraverso «una manovra di consolidamento» in grado di migliorare il saldo strutturale di 0,5 punti di Pil.

Ecco perché la partita che il governo si appresta a giocare prevede questa duplice linea di azione: provare ad accelerare, per quanto possibile, sul piano delle riforme (dal mercato del lavoro al fisco), nell'aspettativa che nel medio periodo vi sia l'effetto atteso in termini di incremento del Pil potenziale. Su questa base, si dovrebbero dal 2015 poter sfruttare margini temporali meno stringenti (anche sul fronte del rientro dal debito). Quanto all'anno in corso, al ministero dell'Economia si vanno definendo le nuove variabili macroeconomiche da inserire nella Nota di aggiornamento del Def di metà settembre, partendo dal confortante dato del fabbisogno di cassa dei primi sette mesi del 2014 (8,7 miliardi in meno rispetto al 2013). Crescita nei dintorni dello zero e deficit nei pressi del 3%, ma con aspettative di ripresa dal 2015. A novembre, le nuove previsioni della Commissione europea conterranno sia l'aggiornamento del quadro delineato in primavera, sia un primo giudizio sulle misure che il governo avrà nel frattempo messo in campo con la legge di stabilità. Sarà quella la sede - si ragiona al ministero dell'Economia - per avviare la trattativa relativamente al 2015 e agli anni successivi. La crescita - questa la linea - è frutto di azioni da concordare prima di tutto in sede europea e questo continua a essere l'obiettivo principale del semestre di presidenza italiana della Ue.
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