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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2014 alle ore 23:17.
L'ultima modifica è del 15 agosto 2014 alle ore 17:14.

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La Casa Bianca ha elogiato la decisione di Nouri al-Maliki di dimettersi e di sostenere il premier iracheno designato Haider al-Abadi. È «un altro grande passo verso l'unità», ha commentato il responsabile per la sicurezza nazionale Susan Rice, sottolineando «i segnali incoraggianti» che derivano dall'«impegno dimostrato da altri leader del Paese per la formazione di un nuovo governo inclusivo». Anche l'Onu si è associato agli elogi, definendo la decisione un «passo storico».

Lo sciita Nouri al-Maliki ha reso nota la sua decisione in un intervento tv ieri sera: l'ex premier ha detto che riconosce la sua sconfitta e ha annunciato il suo sostegno al premier designato Haider al Abadi, scelto al suo posto dal presidente, il curdo Fuad Masum.

Dopo aver fatto temere domenica notte un golpe, quando fece schierare le milizie sciite a lui fedeli nella «zona verde» di Baghdad e annunciato una richiesta di messa in stato d'accusa del presidente Masum, al-Maliki, dunque, getta la spugna. Rimasto solo, senza neanche più il sostegno dell'alleato iraniano dopo aver perso da tempo quello degli Usa, che gli hanno ripetutamente suggerito di farsi da parte, Maliki consente alla comunità internazionale di trovare un possibile interlocutore per fermare l'avanzata dagli jihadisti sunniti dello Stato Islamico (Is).

Al Abadi, anche lui sciita come Maliki, ha promesso un governo inclusivo, con anche i sunniti e i curdi. Questa è una primissima mossa indispensabile per provare a togliere forza alle rivendicazioni dei sunniti - lasciati sempre ai margini dal suo predecessore - minoranza nel Paese ma al potere durante la dittatura di Saddam Hussein. Saddam che invece perseguitava la maggioranza sciita.

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