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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2014 alle ore 07:19.
L'ultima modifica è del 27 agosto 2014 alle ore 08:02.

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Michael Spindelegger (Afp)Michael Spindelegger (Afp)

Mentre in Francia il presidente François Hollande "cacciava" dal governo Arnaud Montebourg, l'uomo dell'anti-austerity voluta da Bruxelles, sostituendolo con Macron, un ex banchiere d'affari di Rotschild, a Vienna succedeva l'esatto opposto con le clamorose dimissioni del ministro delle Finanze, il "falco" Michael Spindelegger, che si dimetteva dall'incarico perché contrario alla proposta dei socialdemocratici che vogliono ridurre il peso fiscale sui redditi più bassi per rilanciare i consumi.

Vero è che i socialdemocratici austriaci propongono anche di aumentare le tasse sulle eredità e sui super-ricchi, ma il ministro Spindelegger, seguace del ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, non ha accettato il compromesso e ha parlato di riduzioni fiscali che «creeranno debito pubblico». «Vienna non è Atene ma deve seguire l'esempio di Berlino», ha detto prima di sbattere la porta e andarsene dalla carica di ministro delle Finanze e da capo del partito popolare austriaco, formazione al governo nella Grande coalizione proprio con i socialdemocratici.

Se si voleva mettere in evidenza un'Eurozona divisa su temi di politica fiscale non si sarebbe potuto scegliere di meglio, a dimostrazione della fine di un pensiero unico in tema di conti pubblici in Europa. Se infatti il ministro delle Finanze austriaco si è dimesso martedì da tutti i suoi incarichi in polemica con una deriva «populista» del suo partito, a Parigi Hollande ha aperto le porte a un ex banchiere d'affari per cercare di rassicurare i mercati sulla volontà francese di ridurre il deficit, fare le riforme strutturali, cercare di migliorare la competitività in cambio di una flessibilità sui tempi del rientro in carreggiata dei conti pubblici.

A Vienna, invece, le dimissioni dell'ex ministro Spindelegger hanno messo in difficoltà sul fronte opposto il cancelliere socialista Werner Faymann, che guida un paese con il più basso tasso di disoccupazione nella Ue e un rapporto deficit-Pil dell'1,5% nel 2013. Il debito pubblico austriaco è stato pari al 74,5% del pil nel 2013 e le previsioni indicano una sua possibile crescita fino all'80% quest'anno. Insomma ci sono margini per un allentamento dei cordoni della borsa per rilanciare i consumi in frenata a causa del calo dell'export ad Est, frenato dalle crescenti tensioni geopolitiche della crisi ucraina.

Lo scenario dopo il discorso del presidente della Bce, Mario Draghi, a Jackson Hole pare delinearsi più chiaramente:

1) i Paesi (soprattutto quelli in deficit) devono fare le riforme strutturali per migliorare la competitività senza venir meno al rigore, magari tagliando le spese improduttive e riducendo le tasse sul lavoro e imprese;

2) a Bruxelles spetta concedere un po' di flessibilità in più sui conti all'interno dei Trattati e preparare un piano di investimenti pubblici per rilanciare la spesa come anticipato dal presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, con un piano straordinario da 300 miliardi di euro che non peserà sui conti nazionali;

3) alla Bce va il compito di riportare vicino al 2% come stabilito dai Trattati - con mezzi anche non convenzionali quali il QE, l'"allentamento quantitativo" con l'acquisto di bond - l'inflazione dell'eurozona, oggi allo 0,4% ed agosto forse allo 0,3%. A ciascuno il suo compito, ma purtroppo ancora in ordine sparso senza un governo federale.

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