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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2014 alle ore 10:55.
L'ultima modifica è del 28 agosto 2014 alle ore 13:39.

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La guerra in Siria si fonde con il fondamentalismo sunnita in Iraq (l'Isis ha cancellato il confine fra i due stati in nome del Califfato) da una parte e oggi sconfina in Israele dall'altra. Sullo sfondo, le inquietudini della Turchia e dell'Egitto alle prese con la Libia in un quadro di destabilizzazione che riguarda una area sempre più vasta. Ora l'amministrazione Obama valuta un massiccio intervento in Siria ma cerca di allargare il fronte comune degli Stati alleati: dall'Australia agli Emirati passando per Londra.

Gli Stati Uniti hanno iniziato a mobilitare i loro alleati in Occidente e nella regione nel caso di un'azione militare contro lo Stato islamico in Siria , mentre si preparano a un'estensione delle operazioni già in corso nel nord dell'Iraq contro i jihadisti dell'Is. Lo rivelano al «New York Times» fonti dell'amministrazione americana, secondo cui il presidente Barack Obama sarebbe vicino alla decisione di autorizzare raid aerei e lanci di generi di prima necessità intorno alla città di Amerli, nel nord dell'Iraq, dove vive una numerosa minoranza turcomanna sotto assedio da due mesi.

Quanto alla Siria, il giornale scrive che la Casa Bianca ha avviato una campagna diplomatica per "arruolare" alleati e Paesi vicini della regione per accrescere il sostegno all'opposizione moderata siriana e, in alcuni casi, per appoggiare eventuali operazioni militari contro l'Is. I Paesi che potrebbero essere coinvolti, elenca il «New York Times», includono Australia, Gran Bretagna, Giordania, Qatar, Arabia Saudita, Turchia ed Emirati arabi uniti. In particolare, da Australia e Gran Bretagna l'amministrazione si aspetta che diano la loro disponibilità a partecipare ad una campagna aerea, mentre dalla Turchia le basi militari.

Non solo: secondo il «New York Times», ad Ankara l'amministrazione americana sta anche chiedendo di rafforzare i controlli al confine con la Siria, punto di transito per i combattenti stranieri che si uniscano ai jihadisti dello Stato islamico. La Giordania, invece, sarebbe utile per ottenere informazioni di intelligence e sostegno alle azioni di sorveglianza, mentre l'Arabia Saudita potrebbe bloccare le fonti di finanziamento.

A dispetto delle molte ragioni che i Paesi dell'area avrebbero per sostenere un intervento americano - l'Is inquieta tutti, a partire dalla Turchia - tuttavia, avvertono gli analisti, non sarà facile ottenerlo. «Uno dei problemi - sottolinea Robert S. Ford, ex ambasciatore americano in Siria - è che diversi Paesi hanno diversi clienti tra i gruppi in lotta. Per metterli tutti a lavorare insieme, la cosa migliore per loro sarebbe scegliere un cliente e incanalare tutti i fondi attraverso quel cliente».

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