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Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2014 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 17 settembre 2014 alle ore 11:17.
ROMA - Il dado è tratto: il simbolo di tutte le battaglie sindacali da più di dieci anni a questa parte e totem della sinistra, l'articolo 18, verrà cancellato. E rischia anche di essere cancellato per decreto, dal momento che Matteo Renzi nel suo discorso in Parlamento sui Mille giorni ha indicato proprio la riforma del lavoro come un'urgenza per il Paese: «Sul Jobs act siamo pronti anche ad intervenire d'urgenza».
Nel suo discorso alle Camere e poi durante la direzione del Pd Renzi non annuncia esplicitamente l'intenzione del governo di superare l'articolo 18 con il suo meccanismo di reintegra in caso di licenziamento senza giusta causa, anche se lo fa capire. Ma in serata, a fari dei media spenti, spiega a chi ascolta qual è il piano: prima, nella Legge di stabilità, saranno trovati i fondi per rafforzare le tutele per chi perde il posto di lavoro in modo da accompagnare il lavoratore nel suo percorso di reinserimento «come avviene nelle socialdemocrazie europee»; dopo, con il Jobs act, si riformerà lo Statuto dei lavoratori superando l'ingiusto dualismo tra lavoratori di serie A e lavoratori di serie B. E prevedendo appunto un meccanismo di indennizzo rafforzato per tutti i lavoratori al posto della reintegra che ora tutela solo quelli che lavorano in aziende al di sopra dei 15 dipendenti. Una riforma che da sola – credono e sperano a Palazzo Chigi – potrebbe convincere gli euroburocrati ad allentare i vincoli di bilancio: è la dimostrazione che Renzi fa sul serio.
D'altra parte per tutta la giornata il messaggio più forte Renzi lo ha dato proprio sul lavoro, e direttamente alla sinistra del suo partito. «Non c'è cosa più iniqua che dividere i cittadini tra quelli di serie A e quelli di serie B – è la sfida del premier ai suoi parlamentari –. Tu sei una mamma di trent'anni: sei dipendente pubblica o privata e hai la maternità, sei una partita Iva e non conti niente; tu sei un lavoratore: stai sotto i quindici dipendenti non hai alcune garanzie, stai sopra sì». Essere di sinistra, incalza Renzi, vuole dire essere contro questa diseguaglianza: «Questo è un modo del lavoro basato sull'apartheid». Quanto all'articolo 18, Renzi in Aula nota che «reintegro o non reintegro dipende dalla conformazione geografica e non dalla fattispecie giuridica». Con la riforma Fornero, insomma, ormai dipende dalla sensibilità del giudice che deve dirimere la controversia. Ora il nodo è tutto politico, ed interno al Pd: Renzi ha bisogno di portare con sé il suo partito o almeno la sua maggioranza. E annunciando la nuova segreteria unitaria promette una direzione ad hoc i primi di ottobre proprio sul Jobs act. Ma le reazioni di personalità come Stefano Fassina («Renzi propone tutte lavoratrici e lavoratori di serie C») e Cesare Damiano («no alla cancellazione dell'articolo 18») sono lì a testimoniare l'arduo compito del premier-segretario.
Urgenza, ma certo non la possibilità di procedere per decreto, è stata ribadita da Renzi in Aula anche sulla legge elettorale. «Non per andare a votare subito, ma per evitare l'ennesima melina istituzionale. Entriamo nell'ordine di idee che la legislatura finirà nel febbraio del 2018». Anche se – aggiunge Renzi – «ogni valutazione sul passaggio elettorale deve essere preceduta dalla capacità di questo Parlamento di dire cosa fare nei prossimi tre anni». Fino al 2018, insomma, solo se si fanno le riforme. A cominciare appunto da quella sul lavoro.
Nel discorso di Renzi c'è poi la conferma della svolta garantista del Pd, una vera e propria rivoluzione culturale in un partito abituato a stare quasi per riflesso condizionato dalla parte del Pm. «Noi aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze, ma non consentiamo ad un avviso di garanzia di cambiare la politica industriale di questo Paese o di costituire un vulnus all'esperienza politica di una persona», dice il premier riferendosi al numero uno dell'Eni, Claudio Descalzi ma anche all'inchiesta bolognese sulle spese della Regione. Alla fine dei Mille giorni – promette infine Renzi – ci saranno anche «un fisco più semplice e meno complesso», una riforma della giustizia «che deve cancellare il violento scontro ideologico del passato», una legge sui diritti civili, una riforma della Rai «in cui la governance sarà sottratta ai singoli partiti». «È l'ultima chance per l'Italia. Se perdiamo, non perde il governo ma il Paese».
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