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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2014 alle ore 07:59.
L'ultima modifica è del 26 settembre 2014 alle ore 11:31.

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Abu Bakr al-Baghdadi, lo spietato califfo dello Stato islamico, si è dimostrato più scaltro di quanto si pensasse. A veva compreso che conquistare un territorio esteso quanto il Regno Unito - e farlo con un'offensiva fulminea - richiedeva un grande sforzo militare; uomini addestrati, mezzi e le giuste alleanze.

Sapeva altrettanto bene che mantenerlo era ancor più impegnativo. Bisognava creare un embrione di Stato, per quanto brutale e oscurantista, e soprattutto assicurarsi le risorse economiche che ne garantissero la sopravvivenza nel tempo.

Occorrevano dunque ingenti somme per comprare la lealtà delle tribù locali, reclutare nuovi jihadisti in tutto il mondo, pagare i salari per migliaia di mujaheddin e “funzionari pubblici”. Il fronte finanziario del nuovo network del terrore doveva perciò essere solido. Ma soprattutto inattaccabile da eventuali sanzioni internazionali. La parola d'ordine era divenire autosufficienti, anche finanziariamente. Soprattutto nel caso in cui le generose donazioni provenienti da alcuni Paesi del Golfo si fossero arrestate. Cosa peraltro accaduta. Sin dall'inizio di quest'anno, quando l'Isis ha conquistato la strategica città siriana di Raqqa, la voce maggiore del “Prodotto interno lordo” del Califfato è divenuto il contrabbando di petrolio, un lucroso business che è andato crescendo quando l'offensiva si è estesa in Iraq. Un commercio capace di generare dai due a tre milioni di dollari al giorno.

«Lo Stato islamico è probabilmente il gruppo terroristico più ricco mai conosciuto» aveva spiegato Matthew Levitte, direttore del programma d'intelligence e antiterrorismo al Washington Institute for Near East Policy. «Non sono integrati nel sistema finanziario internazionale e per questo non sono vulnerabili». Una ricchezza stimata da molti analisti intorno ai 2 miliardi di dollari. In principio accumulata con le spettacolari rapine, come quella alla Banca di Mosul (420 milioni di dollari).

Stabilire quanti pozzi e raffinerie controlli oggi l'Isis, e quanti siano realmente funzionanti, è difficile. Secondo fonti israeliane citate dal quotidiano Haaretz, il nuovo network del terrore controlla aree con 60 pozzi di petrolio attivi. Il greggio sarebbe poi venduto sul mercato nero a prezzi davvero concorrenziali - con sconti del 40-70% - attraverso i porosi confini con Turchia e Giordania. Solo dall'Iraq, produrrebbe dai 25 ai 40mila barili di petrolio al giorno. Politica e business percorrono strade diverse, a volte incomprensibili. Tanto che tra gli acquirenti del greggio jihadista ci sarebbe, secondo diversi osservatori, anche il nemico numero uno dell'Isis: il regime di Damasco.

Non solo petrolio. Il “Pil” del Califfato dispone di un paniere composto da altre voci. per quanto minori: i sequestri, e i relativi riscatti, (svariati milioni di Dollari l'anno) la tratta di esseri umani - diffIcile da quantificabile ma in deciso aumento - le estorsioni ai danni della popolazione in un territorio dove vivono 6-8 milioni di persone. E poi furti, contrabbando di grano e di antichità. Soltanto nei monti del Qalamoun, a ovest di Damasco, avrebbero venduto reperti datati anche 4mila anni per un valore di 36 milioni di dollari.

«Sono estremamente creativi nel trovare fonti di finanziamento e possono operare indipendentemente da fonti esterne», aveva detto al Wall Street Journal Douglas Ollivant, ex direttore per l'Iraq presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti. Anche perché, ha precisato, essendo «l'intera regione una cash economy, è molto difficile tagliargli i finanziamenti».

Eppure distruggere il sofisticato business sotterraneo dell'Isis non è impossibile. Bombardando le raffinerie, come stanno facendo in questi giorni i caccia della coalizione internazionale (anche se ieri sono state colpite solo quelle modulari, piccole e mobili), si infligge un duro colpo all'Isis. È indubbio che le loro scorte di carburante saranno usate per motivi bellici, lasciando la popolazione in difficoltà. Anche una maggiore pressione sugli Stati confinanti, affinché si adoperino per arginare il traffico nero di materie prime, potrebbe dare risultati apprezzabili. Gli Usa stanno facendo maggiori pressioni sulla Turchia - dove passa il maggior flusso di beni contrabbandati - perché si impegni realmente.

L'Isis può essere indebolito. Anche finanziariamente. Il timore, tuttavia, è che sarà la popolazione civile a farne per prima le spese.

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