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Questo articolo è stato pubblicato il 30 settembre 2014 alle ore 06:36.

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ROMA
Se l'esigenza è la certezza del diritto per imprese e lavoratori, l'annuncio, ieri, di Matteo Renzi di voler mantenere il reintegro per i licenziamenti disciplinari rischia di non cogliere appieno l'obiettivo. Questo perché non ci si discosterebbe poi molto dalla legge Fornero e soprattutto non si supererebbe la discrezionalità dei giudici che potrebbero sempre interpretare le motivazioni di un licenziamento (e quindi non si potrebbe mai prevedere cosa succederà in caso di annullamento dell'atto di recesso).
Attualmente, infatti, dopo la legge 92, se il giudice annulla un licenziamento disciplinare possono scattare due diverse sanzioni: se il fatto non sussiste per nulla (ad esempio, il lavoratore non ha rubato il pc aziendale) oppure se è punito dal contratto collettivo di lavoro con sanzioni conservative, scatta il reintegro più un'indennità fino a 12 mesi; negli altri casi si paga solo un'indennità che può arrivare anche a 24 mesi.
Da quanto si apprende il premier starebbe pensando a una sorta di casistica delle ipotesi (una qualificazione delle fattispecie) in cui, nei licenziamenti disciplinari, resterebbe in piedi la tutela reale dell'articolo 18. Ma anche qui la differenza con l'attuale normativa sarebbe minima; e peraltro «l'esperienza dimostra che le tipizzazioni sono chimere nel diritto del lavoro, quando si fissano regole diverse per casi simili prolifera sempre la discrezionalità - sottolinea il giuslavorista Giampiero Falasca -. Una vera certezza applicativa pertanto si raggiungerebbe solo prevedendo la stessa sanzione per qualsiasi tipo di licenziamento illegittimo; se non si va in tale direzione, tanto vale mantenere la norma vigente, cercando di migliorare i testi dei contratti collettivi».
Inoltre, nei licenziamenti disciplinari «c'è la valutazione del notevole inadempimento e ciò lascia al giudice la più totale discrezionalità, che è il limite di oggi della legge Fornero», aggiunge Roberto Pessi, professore di diritto del lavoro alla Luiss di Roma.
Del resto prima della legge 92 il vecchio articolo 18 dello Statuto dei lavoratori prevedeva una sola sanzione in caso di licenziamento intimato in violazione dei limiti di legge: il reintegro nel posto di lavoro e il risarcimento del danno in misura pari alle mensilità dal licenziamento al reintegro, con il minimo di cinque. E per il giudice si trattava di una scelta obbligata (solo il lavoratore poteva convertire il reintegro in un indennizzo monetario). La legge Fornero ha previsto una gradazione delle sanzioni, marginalizzando la tutela reale. Ma ha avuto il grande difetto di essere tecnicamente molto complessa e troppo interpretabile. Oggi infatti l'articolo 18 prevede una serie di opzioni: in caso di licenziamento discriminatorio (reintegro più risarcimento integrale), in caso di disciplinare (le due opzioni viste prima, reintegro o indennizzo), in caso di licenziamento economico (motivo oggettivo) solo indennità fino a 24 mesi, ma reintegro più indennità se il motivo economico è "manifestamente insussistente", nei licenziamenti collettivi, poi, se si violano i criteri di scelta: reintegro più risarcimento, negli altri casi solo indennità.

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