Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2014 alle ore 08:03.
L'ultima modifica è del 02 ottobre 2014 alle ore 10:56.
«In poche parole, per far sì che l’Italia torni a crescere e che in Europa si colmino gli enormi squilibri macroeconomici creati in questi anni occorre che la Germania generi un tasso di inflazione del 3% per 10 anni. Solo così gli altri Paesi dell’Eurozona potrebbero avere spazio per recuperare competitività ma allo stesso tempo veder crescere la propria economia, con un tasso di inflazione più basso di quello tedesco ma non lontano dal 2% che è l’obiettivo della Bce per l’intera area».
Ma come può la Germania alzare l’inflazione? «Aumentando i salari reali, cosa che non ha fatto nei primi anni di Eurozona. In questo modo stimolerebbe la domanda interna, aumenterebbe le importazioni e ridurrebbe gli squilibri macroeconomici che continua a creare (nonostante gli ammonimenti di Usa e Commissione europea, ndr) con un surplus delle partite correnti superiore al 6% del Pil consentito da ormai sei anni».
Quindi, perché l’Italia esca dalla crisi occorre che la Germania faccia i compitini a casa, cioè dia spazio a un modello di crescita più equilibrato, ribilanciando l’eccessivo export con una domanda interna finora sacrificata. E che investa di più in infrastrutture, dato che - come ammesso dal numero uno dell’Istat tedesco, Marcel Fratzscher «la Germania non sta investendo più e questo sta portando l’economia verso uno sgretolamento».
Occorre cioè che la Germania faccia una sorta di “austerità al contrario”, ovvero stimoli la domanda interna. «Finché il benchmark sarà un’inflazione tedesca intorno all’1% non è possibile per Paesi come l’Italia che appartengono alla stessa area valutaria crescere - prosegue De Nardis -. La Germania deve reflazionare la propria economia. Ma non solo. Con il suo forte surplus la Germania spinge anche in positivo le partite correnti dell’intera Eurozona. Il che rende oggi l’esigenza di svalutare l’euro, attraverso le manovre espansive che sta adottando la Bce, indigesta al resto del mondo. È impossibile per un’area essere in surplus e cercare di svalutare la propria divisa. A patto che non si esporti depressione verso il resto del mondo “succhiando” domanda estera e compensando in questo modo le difficoltà della domanda interna creata da questo modello economico. È anche per questo motivo che nell’ultimo G20 gli Stati Uniti hanno indicato alla Germania di rientrare dallo squilibrio di un Paese eccessivamente sbilanciato sull’export».
Tuttavia bisogna ammetterlo. Finora la Germania ha detto “nein” sia alle richieste di Usa e Fmi di potenziare la domanda interna, sia a quelle di altri Paesi europei di creare politiche fiscali armonizzate per dare più spazio di manovra ai Paesi più in difficoltà durante la crisi. Recentemente si è opposta anche al piano della Bce di stimoli attraverso l’acquisto di titoli Abs (Asset backed securities) dalle banche, un tentativo per rilanciare i prestiti a imprese e famiglie e far ripartire l’economia reale delle aree più depresse. Cosa le fa pensare che possa un giorno cambiare atteggiamento? «Il problema sta qui. Oggi i trattati europei prevedono meccanismi di sanzione nei confronti dei Paesi che presentano squilibri negativi, come ad esempio quelli che sforano il deficit/Pil al 3% o quelli con un saldo delle partite correnti negativo nella media a tre anni superiore al 4% del Pil. Ma non sono previsti meccanismi concreti nei confronti di Paesi, come la Germania, che presentano squilibri positivi perché esportano troppo. Per questo i trattati europei, più che rivisti, andrebbero sospesi nei momenti di crisi. E quello attuale, in cui l’Italia sta registrando performance peggiori della Grande depressione, può essere certamente definito un periodo di crisi».
Come giudica il quantitative easing in stile americano, quello che prevede che la Bce acquisti anche titoli di Stato, oltre a titoli privati come gli Abs? Per quanto di difficile attuazione nell’Eurozona, proprio a causa del veto tedesco, potrebbe aiutare a colmare gli squilibri oppure se attuato pro-quota (nel senso che la Bce acquisti titoli in proporzione alla partecipazione degli Stati al capitale sociale, e quindi acquisti più Bund tedeschi che BTp) non si configuri come un finanziamento dei Paesi più piccoli verso la Germania a conti fatti? «Un quantitative easing pro-quota potrebbe avere l’effetto di stimolare la domanda interna tedesca - continua De Nardis -. In questo senso potrebbe essere importante perché, ripeto, in questo momento la priorità per tutti i Paesi dell’Eurozona è che l’inflazione tedesca vada e resti per un bel po’ al 3%».
©RIPRODUZIONE RISERVATA









