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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2014 alle ore 10:29.
L'ultima modifica è del 07 ottobre 2014 alle ore 12:35.

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I miei amici non avevano voglia di svegliarsi presto e così partiamo alle 6.30 del mattino, alle prime luci dell’alba. Fa freddo in discesa. L’aria gelida ti ghiaccia le mani. Molti indossano impermeabili in nylon sopra le vecchie maglie in lana. Io ho deciso di farla da “duro e puro” questa Eroica. Ho la mia maglietta della nazionale che pizzica sulla pelle. E sotto un bel giornale. Un foglio ripiegato del mio Sole 24 Ore per ripararmi dall’aria del mattino. Si parte alla francese, quando vuoi. Si arriva quando si riesce. Vincono tutti.

I primi km dell'Eroica sono su strada asfaltata e meno male perché devo prendere le misure con la bici i suoi tanti cigolii e con i tacchetti di questi scarpini in cuoio che non vogliono proprio saperne di entrare nei fermapiedi. Alla prima salita incontro un arzillo tedesco con una maglia originale della T-Raleigh e una bici anche essa originale. Pedala bene, nonostante gli anni. Mi racconta che ha corso il Tour de France nel ‘76 e nel ‘77 e che ha tenuto per un paio di giorni la maglia gialla. Quando lo fa gli si illuminano gli occhi.

La prima strada bianca comincia dalla salita che porta su fino al castello di Brolio. Diversi tornanti secchi e spianate brevi, una dietro l’altra, ma il fondo è buono e si riesce ad andare di buona lena fin su in cima con il cielo che comincia a schiarire. In discesa ci si apre per la prima volta davanti agli occhi uno stupendo angolo di Toscana, tra le colline del Chianti, il Valdarno e le terre di Siena, un angolo salvato dalla cementificazione selvaggia delle villette a schiera e dei centri commerciali che ha deturpato tante, troppe parti, del nostro bel paese. Qui è rimasto tutto come era. Ed è davvero piacevole immergersi in questo paesaggio da cartolina. Ci fermiamo per fare una foto sotto un leccio secolare lungo la strada bianca che porta verso Pianella.

Per tutte le prime ore della “gara” continuiamo a pedalare a buon ritmo, tra piste sterrate, simili a quelle che ho visto nella giungla tropicale, in Camerun. Per andare in bici e non cadere qui devi avere un radar negli occhi e capire dove far passare le ruote e la tua scia, evitando il ghiaietto sul centro e a bordo strada e quella sabbia bastarda che se la becchi in curva sei già per terra a curarti le ferite. Dopo due ore il corpo comincia a farsi sentire e la spia rossa del serbatoio di riserva si accende. I ristori diventano traguardi attesi e desiderati. Il primo è a Radi. Una piazza davanti a una vecchia fattoria. C’è il primo timbro del percorso e l’agognata tavolata che offre pane toscano a fette con tutte le varianti locali: al miele, all'olio d'oliva, al vino rosso e zucchero, al salame, con la salsiccia spalmata. E da bere: acqua di fonte, orzo e the caldo oppure Chianti rosso, alle 9.30 di mattina.

Dopo un bicchiere di vino rosso e innumerevoli fette di pane olio e formaggio e/o salsiccia, riprendere a pedalare è una sfida come prima di una salita. Il sole ormai alto ci fa dimenticare il gelo dell’alba e illumina a giorno una campagna dall'incredibile bellezza, spianate di campi si perdono con lo sguardo all’orizzonte, macchiati qua e la da vecchi casali in pietra, cipressi in fila che sembrano disegnati con i pastelli.

Fa caldo ora. Pedalo di buona lena, non so a quanto sto andando ma non importa, e procedo sulle lunghe carrareccie sterrate che tagliano in due i campi e salgo e scendono in un continuo su e giù che rendono questo percorso difficile e impegnativo con continui cambi di ritmo (alla fine della giornata, tra una sosta e l’altra, avremo fatto circa 140 km e 2,2mila metri di dislivello secondo il Gps in dotazione a uno dei miei amici eroici più tecnologico di me).
Continuo a raggiungere e superare ciclisti con la maglia in lana e antiche glorie a due ruote. Una ragazza belga con i polpacci da scaricatore di porto avanza a tutta velocità, con un gonnellino a pois rosso e nero che si muove al vento. Stacco anche lei. Mi sta dietro solo un ragazzo con i capelli lunghi, la maglia della Brooklyn di Roger De Vlaeminck e una stupenda Gios, blu Gios, anni Settanta, conservata come una reliquia. Andiamo avanti veloci per un buon tratto insieme, e ci raccontiamo pedalando un po’ di noi. Gli dico delle mie imprese “pazze” in bici, del mio libro, Tutte le salite del Mondo, che le racconta, ma in italiano. Che ho appena percorso con mio figlio la bella ciclabile da Parigi a Londra, che lui ha fatto il mese di marzo. David vive a Londra,appassionato di due ruote, va al lavoro in bici con qualsiasi condizione meteorologica e d’estate viaggia per l'ltalia e la Francia per ripercorrere le strade che hanno fatto la storia di questo sport. Lavora come manager in uno dei negozi di Paul Smith, stilista colorato cool in terra di Britannia e appassionato anche lui del pedale. Mi racconta, David, che il signor Paul Smith inforca ancora la bici e si conserva come un ragazzino grazie alla sua passione velociclistica. A David, capelli lunghi e fisico asciutto, piace molto l’idea del campione romantico sciupafemmine alla Roger De Vlaeminck. Un mito. «Per me era una specie di James Hunt delle due ruote» - mi dice, mentre continuiamo a menare su questa dolce salita, sotto un sole africano, strano per essere il 5 ottobre.

A un certo punto raggiungiamo un gruppo di attempati australiani che vengono da Melbourne per fare l’Eroica, su Colnago e Pinarello d’epoca. David scopre che ha sbagliato percorso: non è su quello lungo come pensava, ma sul medio. Dopo una 20ina di km a tutta, gira la bicicletta a valle e torna indietro, cercando la retta via. Arrivo in alto alla salita e mi rendo conto che ho lasciato indietro tutti i miei amici. Mi fermo all’ombra di una bella quercia e aspetto. Arriveranno. Intanto mi godo il panorama. Dopo un po’ la squadra si ricompone: “Gruppo compatto”. Ricominciamo ad andare allegramente verso Asciano. In discesa mi ritrovo a pedalare per caso vicino a una signora sopra la sessantina. Annamaria viene da Lugo di Romagna, ed è la pronipote di Francesco Baracca: mostra con un certo orgoglio la maglia in lana azzurra della squadra Lugo-Baracca. Mi racconta che con un suo amico da qualche tempo, all'inizio di maggio organizza una bizzarra gara in Romagna in primavera: Orgoglio pieghevole, 64 km su bici pieghevole, Graziella e simili, e abiti vintage anni 70. Mi racconta della sua passione per la bici scoperta tardi. «Pedalo da due anni, sono nonna e ho tre nipotini. Qualche anno fa ho superato un brutto male, da allora non me ne voglio perdere nessuna di queste gare. Mia figlia mi dice che che sono matta, alla mia età, ma io non mi ci vedo a fare la nonna che fa la calzetta». E così la nonna rock ha inforcato una bici da corsa. Mi accorgo che in curva si sposta pericolosamente a sinistra e ogni volta passa dall’altro lato della carreggiata, da dove arrivano le auto. La invito a stare più a destra per far sì che possa rivederli I suoi nipotini. Mi ringrazia e mi invita ad andare alla prossima edizione dell’Orgoglio pieghevole con i miei amici.

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