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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2014 alle ore 07:35.
L'ultima modifica è del 10 ottobre 2014 alle ore 07:59.

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Nonostante l'intensificazione delle incursioni aeree della Coalizione nel settore di Kobane, la città simbolo della resistenza curda al Califfato nel nord della Siria sembra sul punto di cadere. I miliziani dello Stato Islamico (Is), dopo una breve pausa, hanno ripreso l'offensiva e controllerebbero ormai oltre un terzo del centro abitato dove peraltro i loro mezzi sono meno vulnerabili che in campo aperto ai raid aerei.

L'incapacità di sostenere militarmente i curdi, le cui milizie costituiscono oggi l'unico avversario credibile del Califfato in Siria come Iraq, sta ridicolizzando una Coalizione che sembra esistere solo sulla carta. Il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu ha detto ieri al neo segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, di considerare «non realistico aspettarsi che la Turchia effettui da sola un'operazione terrestre contro l'Is» respingendo così le pressioni di Washington in tal senso.

I jet dei Paesi arabi ed europei messi insieme hanno effettuato al 6 ottobre appena 195 sortite aeree, cioè meno del 4 per cento delle circa 5 mila effettuate dalla Coalizione: 1.768 sortite d'attacco, oltre 1.600 di rifornimento in volo e più di 700 di sorveglianza. In termini di missioni d'attacco il Central Command americano ha reso noto che dall'8 agosto al 7 ottobre ne sono state effettuate 354, di cui 103 in Siria e 251 in Iraq.

Le forze statunitensi hanno impiegato circa mille bombe a guida laser e satellitare e una cinquantina di missili aviolanciati oltre ai 47 missili da crociera Tomahawk lanciati sulla Siria dalle navi per un costo complessivo del munizionamento impiegato di 62,4 milioni di dollari.

I costi vivi dell'operazione resi noti dal Pentagono sono compresi tra i 7, 5 e i 10 milioni di dollari al giorno: considerando tutte le voci di spesa il Center for Strategic and Budgetary Assessments valuta che in due mesi sia già stato speso un miliardo di dollari, cifra che potrebbe rappresentare il costo mensile dell'operazione in caso di rafforzamento del dispositivo impiegato.

Secondo il rapporto, che stima anche un possibile impiego di forze terrestri al momento escluso categoricamente dall'amministrazione Obama, Washington spenderebbe tra i 200 e i 320 milioni al mese se schierasse 2.000 soldati a combattere in Iraq. Una graduale escalation del conflitto vedrebbe i costi salire 350/570 milioni al mese con più raid aerei e 5 mila soldati Usa sul terreno fino a 1,8 miliardi al mese con un'intensa campagna aerea e 25 mila militari sul terreno.

Valutare l'efficacia dei raid aerei in termini finanziari rischia di risultare fuorviante. Diversi attacchi hanno preso di mira i mezzi e le armi pesanti catturati in gran quantità dai jihadisti nelle basi delle truppe irachene e siriane. Tra i bersagli distrutti da missili e bombe vi sono anche alcuni carri armati Abrams del valore di alcuni milioni di dollari ad esemplare che gli Stati Uniti avevano venduto all'esercito di Baghdad ma vi sono anche molti pick-up, mortai e lanciarazzi campali il cui valore è inferiore ai 30 mila dollari di costo di una bomba a guida gps, ai 110 mila dollari di un missile Hellfire o ai 200 mila di un britannico Brimstone. L'impiego di armi sofisticate e costose ha lo scopo di garantire precisione, efficacia e minori rischi di provocare vittime civili ma finora la campagna aerea contro l'Is non è riuscita a “fare la differenza” sul campo di battaglia.

Con una dichiarazione disarmante, il portavoce del Pentagono, l'ammiraglio John Kirby, ha ammesso che i raid aerei da soli non riusciranno «a salvare» Kobane nonostante «stiamo facendo tutto ciò possiamo».

Il segretario di Stato, John Kerry, pur definendo «una tragedia» l'avanzata dell'Is a Kobane, ha cercato di sminuire l'importanza strategica della città curda precisando che «malgrado la crisi in corso a Kobane gli obiettivi originali del nostro impegno sono i centri di comando e controllo e le infrastrutture dell'Is» . Resta però evidente che la caduta della città costituirebbe un grave smacco per gli Usa, che metterebbe in luce l'inadeguatezza e la debolezza del dispositivo militare alleato aumentando la percezione della debolezza degli Occidentali. Al tempo stesso un'ulteriore vittoria del Califfato ne ingigantirebbe l'immagine militare e i consensi nel mondo islamico che si tradurrebbero in un incremento dell'afflusso di volontari e finanziamenti.

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