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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2014 alle ore 08:54.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2014 alle ore 17:38.
Modelli da superare
L'Africa sub-sahariana è ricchissima di risorse energetiche ma molto povera della disponibilità di energia, con il 13% della popolazione mondiale che rappresenta solo il 4% dei consumi, quasi raddoppiati dal 2000 ad oggi ma minati da un groviglio di problemi non solo economici e tecnologici ma anche politici e regolatori. Il risultato è che, ancora oggi, dei 915 milioni di persone che vivono in quelle zone meno di un terzo ha accesso all'elettricità. Seicento milioni di esseri umani che non hanno alcuna possibilità di affrancamento dall'assoluta povertà. E con le nuove esplosioni demografiche il numero degli esclusi sta addirittura crescendo, denuncia la Iea. Tutto ciò a fronte di un'endemica ingiustizia etica e sociale, visto che due terzi delle risorse economiche investite nel settore dell'energia dal 2000 ad oggi nell'area sub-sahariana riguardano le risorse destinate all'esportazione. Un trend che sta accelerando anche su questo versante, tant'è - sottolinea l'Agenzia internazionale dell'energia – che circa il 30% di tutte le nuove scoperte mondiali di giacimenti di petrolio e gas degli ultimi cinque anni, e sulle quali i paesi industrializzati guardano con crescente ingordigia, sono state fatte nell'area sub-sahariana.
Stop allo spreco
«Dai 2000 ad oggi – puntualizza Fatih Birol, capo economista dell'Agenzia internazionale per l'energia - gli investimenti nei sistemi energetici dell'area sub-sahariana sono più che raddoppiati in termini reali da circa 30 miliardi di dollari l'anno a circa 65 miliardi, ma gli investimenti nel settore specifico della generazione elettrica non superano tuttora gli 8 miliardi di dollari l'anno, mezzo punto di Pil. Non basta. Al 2040 ben 300 milioni di persone dell'area sub-sahariana potrebbero rimanere ancora senza elettricità».
Alla endemica povertà energetica delle popolazioni è caratterizzato oltretutto da un uso irrazionale, diseconomico e dunque scriteriato dell'energia destinata a soddisfare il fabbisogno locale: poche reti con enormi dispersioni, una larga quota di sistemi privati con generazione a gasolio. Dove vige un sistema tariffario di vendita di gran parte dei casi le tariffe sono le più alte del mondo. Tutto ciò con una generazione di rete che nell'area arriva a malapena ai 90 GW (più o meno come la sola Italia), la metà nel solo Sud Africa, che peraltro non ce la fa a soddisfare il suo fabbisogno ed drena risorse dai paesi vicini.
Nuove sinergie
Un panorama addirittura scriteriato, se pensiamo ad esempio che nella Repubblica democratica del Congo solo il 9% della popolazione accesso all'elettricità nonostante l'enorme potenziale dell'idroelettrico. Che potrebbe, da solo, risolvere ampiamente i problemi locali. Ed è proprio l'energia rinnovabile a rappresentare la maggiore risorsa potenziale per tutta l'area coprendo con gran facilità almeno la metà della crescita della disponibilità elettrica da qui al 2040. Non meno favorevoli sono le prospettive di sviluppo delle bioenergie e delle biomasse, che nello stesso periodo potrebbero facilmente raddoppiare.
Guai però a guardare nel frattempo allo sviluppo della disponibilità energetica di quelle popolazioni e alla crescita delle energie rinnovabili nell'area in termini antitetici alle attività classiche di esplorazione e di produzione petrolifera. Anzi, le due attività possono creare eccellenti sinergie. Interventi ben combinati, in nome delle tecnologie ma anche della costruzione di un sistema regolatorio coerente, potrebbero massimizzare anche la redditività delle attività petrolifere tradizionali, bisognose di molte modernizzazioni. Prova ne sia che - sottolinea l'Agenzia internazionale dell'energia – nell'area più di mille miliardi di metri cubi di gas sono stati dispersi negli ultimi decenni a causa del fenomeno del “flaring”. Risorse che se correttamente usate per generare energia avrebbero potuto soddisfare, da sole, gran parte del fabbisogno elettrico di tutto il quadrante sub-sahariano.
Un mondo di affari
All'Europa, e all'Italia, conviene muoversi. Possibilmente in fretta. Le basi non mancano. Un buon esempio è venuto ad esempio nei mesi scorsi dalla Banca europea per gli investimenti (Bei), che ha finanziato con 23 miliardi di scellini keniani, 200 milioni di euro, il Lake Tukana Wind Power project, un enorme parco eolico da 70 miliardi di scellini (620 milioni di euro ) che potrà coprire il 20% del fabbisogno energetico del Kenya garantendo quote di energia rinnovabile a tutta l'area dell'Africa orientale. Il progetto godrà di un ulteriore sostegno finanziario dell'Unione europea con l'intervento di diversi fondi internazionali.
Certo, altre grandi economie non stanno a guardare. Il crescente attivismo della Cina in Africa è notorio. E accelerano gli americani: lo scorso 30 giugno l'amministrazione Usa ha ufficialmente battezzato l'iniziativa Power Africa, che prevede stanziamenti di 7 miliardi di dollari dai fondi pubblici e 9 miliardi da fondi privati per i prossimi cinque anni. Il ritorno, evidentemente, è assicurato.
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