Il nome, Double Irish, fa pensare a un doppio whisky (o whiskey, come si scrive da queste parti). È invece un ingegnoso artificio fiscale che, per almeno un ventennio, ha consentito alle multinazionali che facevano rotta su Dublino di abbattere o non pagare affatto le tasse sui profitti. Dal 1° gennaio del 2015 non sarà più utilizzabile, perlomeno dalle società che si stabiliranno ex novo in Irlanda; le altre avranno tempo per rivedere la loro organizzazione fino al 2020.
A dare la notizia è stato ieri il ministro delle Finanze Michael Noonan, presentando un budget storico anche per altri versi, visto che è il primo non di austerity in otto anni.
La decisione era attesa viste le pressioni crescenti di Stati Uniti ed Europa e il piano d'azione internazionale (Ocse-G-20) di lotta all'elusione fiscale e al cosiddetto profit shifting, lo spostamento dei profitti da una filiale all'altra, appunto per sottrarli al fisco. La Commissione europea aveva chiesto a Dublino spiegazioni su questo controverso sistema di tassazione e minacciava di aprire un'indagine formale, dopo quella già in corso sugli accordi fiscali con Apple che fanno sospettare la violazione della normativa sugli aiuti di Stato. Di qui la mossa del governo.
Il Double Irish è un sistema che sfrutta le differenze tra la legislazione fiscale irlandese e quella statunitense, consentendo alle multinazionali come Google ed Apple e a diversi colossi farmaceutici di abbattere le tasse sui profitti generati dalle royalties (i diritti su brevetti e proprietà intellettuali). La legge statunitense considera un'impresa fiscalmente residente se è registrata negli Stati Uniti; quella irlandese consentiva finora a un'azienda di non essere considerata fiscalmente residente se, pur avendo sede legale in Irlanda, veniva gestita e controllata altrove. La multinazionale perciò creava due sussidiarie in Irlanda (da qui il nome “double”). I diritti sulle royalties venivano ceduti alla prima sussidiaria, costituita in Irlanda ma controllata e gestita offhsore (Cayman e Bermuda le piazze più gettonate): in questo modo i profitti delle vendite negli Stati Uniti, soggetti a una tassazione altrimenti del 35%, venivano abbattuti dal pagamento delle royalties, incassate dalla società offshore e dunque non tassate; gli utili delle vendite oltreoceano facevano capo poi alla seconda sussidiaria irlandese (e dunque già avrebbero pagato solo il 12,5%, la corporate tax di Dublino), ma venivano sostanzialmente prosciugati dal pagamento delle royalties alla società offshore.
Il ministro Noonan ha chiarito che d'ora in poi le imprese registrate a Dublino saranno anche fiscalmente residenti in Irlanda e andrà dunque in pensione un sistema che, sebbene abbia prima ha favorito l'avvento della Tigre celtica e poi aiutato Dublino a risollevarsi dalla crisi, stava danneggiando la reputazione del Paese.
Il provvedimento avrà senz'altro un impatto, visto che rischia di costare parecchi miliardi alle società, ma secondo gli esperti non c'è da attendersi una fuga dal Paese. Non vengono meno, infatti, gli altri fattori di attrattività dell'Irlanda, su cui peraltro le multinazionali hanno molto investito negli ultimi anni; e anche sul piano fiscale rimangono una corporate tax al 12,5% e nuovi incentivi che già Noonan ha annunciato ieri, a cominciare da un taglio alle tasse sui profitti collegati allo sfruttamento dei brevetti.
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