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Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2014 alle ore 06:58.
L'ultima modifica è del 17 ottobre 2014 alle ore 11:56.
La tempesta sui mercati degli ultimi giorni, con allegata botta di avversione a rischio, ha dissolto uno grandi misteri dello spread: uno differenziale franco-tedesco che restava schiacciato al suolo come se Parigi fosse ancora uno dei Paesi “core” dell'Eurozona, a braccetto con Berlino.
Possibile, ci si chiedeva, che le Borse non scontassero il fatto che la Francia ha: conti pubblici più dissestati di quelli italiani (viaggia con un deficit al 4,4%), una disoccupazione - in particolare giovanile - ai massimi storici, una fiducia in Hollande ai minimi storici e la leader antieuro Marine Le Pen che trionfa sia alle elezioni europee che nei sondaggi per le presidenziali del 2017? Possibile che i mercati non avessero realizzato che Parigi non ha fatto mezza riforma, che Moody's pochi giorni fa gli ha tagliato l'outlook del rating da stabile a negativo, e che i tedeschi hanno fatto di tutto per commissariare il commissario francese agli affari economici Moscovici, mettendogli sopra il falco finlandese Katainen, perfettamente allineato a Berlino?
Sul mitico asse franco-tedesco l'ultima tempesta di mercato inizia però a raccontare un'altra storia. Guardiamo i dati sull'andamento degli spread durante il recente crollo delle Borse: dal 1° ottobre a ieri il differenziale tra i decennali francesi e quelli tedeschi è schizzato in alto di oltre il 31%. Un aumento più ampio di quello registrato dai BTp (26%) o dai Bonos (appena il 19%). Altra curiosità: lo spread tra la Germania e la germanofona Austria è aumentato del 26%, proprio come quello italiano. E quello tra la Germania e la Finlandia, il Paese del falco Katainen, è balzato in alto di oltre il 70%, pur restando a livelli infimi (19 punti). La morale? Forse è vero, come si sussurra a Wall Street, che ormai quasi tutta l’Europa - vero epicentro della crisi di Borsa - rischia di diventare “europeriferia”. A parte, naturalmente, la Germania.
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