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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2014 alle ore 07:15.
L'ultima modifica è del 14 ottobre 2014 alle ore 11:28.

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Il calendario incalza. Domani, 15 ottobre, scade il limite per la presentazione dei documenti di bilancio alla Commissione europea. Sarà seguito a ruota dall'esame dei progetti nazionali da parte della nuova Commissione. In Francia, il giudizio temuto è quello di un rigetto in piena regola, con rinvio al mittente per una riscrittura, data la confessata violazione dei parametri del Patto di stabilità.

La posizione temeraria della Francia ha destato il timore di un «contagio transalpino» ai danni dell'Italia. La preoccupazione è che l'occasione sia colta per disciplinare entrambi i paesi discoli. Per fortuna le procedure europee - pur con tutti i loro difetti - non agiscono in tale logica. Chi valuta l'adempimento formale alle regole è definito, non a caso, un «tecnocrate». Come tale, passa in rassegna in modo certosino la complicata serie di requisiti in chiave anzitutto tecnico-legale. Non vi è dubbio che anche i tecnocrati internalizzino le pressioni politiche, ma la specificità delle regole ne limita il grado di discrezionalità.

Questo quadro procedurale offre degli appigli all'Italia, e la distingue nettamente dalla Francia. Per cominciare, i due Paesi sono in posizioni diametralmente opposte all'interno del Patto: la Francia si trova nel cosiddetto ramo «correttivo», sottoposta cioè a una procedura d'infrazione, avendo da tempo un disavanzo pubblico ben oltre il limite del 3% del Pil. L'Italia questo limite lo osserva e dichiara di voler continuare a farlo (pur criticandone la logica). Si trova quindi nella parte «preventiva» del Patto - assieme a tutti i Paesi considerati virtuosi. La distinzione è cruciale per l'applicazione dei margini di flessibilità del Patto.

Inoltre, l'Italia - a differenza della Francia - può a pieno titolo rivendicare di trovarsi in circostanze eccezionali. Queste permettono a un Paese che stia osservando il limite del 3% di eccederlo in via temporanea, senza che scatti alcuna procedura correttiva. Tra le circostanze eccezionali definite dal Patto vi è quella di «una grave recessione economica», dovuta a «un tasso di crescita negativo o una diminuzione cumulata della produzione durante un periodo prolungato di crescita molto bassa in relazione alla crescita potenziale». L'Italia ha registrato, ahimè, una crescita negativa in ben undici degli ultimi dodici trimestri, cioè quasi ininterrottamente per tre anni. Il divario rispetto al Pil potenziale è stimato dal Fondo monetario internazionale al 4,3%. Se queste non sono circostanze eccezionali, ci si chiede quando mai lo saranno. La Francia, per fortuna sua, non ha uguale giustificazione per la debolezza dei propri conti pubblici, con un Pil in espansione in ogni anno dal 2009.

Vi è poi l'annosa questione delle riforme strutturali, la cui attuazione può far entrare in gioco un altro margine di flessibilità del Patto. Nel braccio preventivo, la messa in atto di riforme favorevoli alla crescita permette infatti uno scostamento dal sentiero di riduzione del deficit strutturale verso l'obiettivo a medio termine di equilibrio.
È qui che l'Italia potrebbe essere colta in fallo, avendo fissato un ritmo di miglioramento del saldo strutturale inferiore a quello prestabilito, rinviando l'obiettivo di equilibrio al 2017. Ma tale deviazione potrebbe essere consentita con l'entrata in vigore di riforme strutturali, purché rapida ed effettiva.

Vi sono inoltre le osservazioni puntuali sollevate dal ministro Pier Carlo Padoan sui metodi di calcolo della crescita potenziale, e quindi del saldo strutturale, che sottostimano lo sforzo dell'Italia. Si noti a proposito che il Fondo monetario internazionale stima un disavanzo strutturale per l'Italia pari allo 0,5% del Pil nel 2015 - non lontano cioè dall'obiettivo a medio termine (il dato analogo per la Francia è -2,8%).
Chiaramente, quindi, l'Italia non è la Francia, e non vi è base alcuna perché sia trattata alla stessa stregua. Al contrario: con una tempestiva attuazione delle riforme e un'oculata applicazione delle regole, l'Italia può legittimamente deviare temporaneamente da alcuni dei paletti del Patto di stabilità senza subire gli strali correttivi dell'Unione europea.
Lo farebbe con piena giustificazione (le circostanze eccezionali) e per buoni motivi (le riforme strutturali). Il governo si ponga in posizione di poterlo argomentare con forza e in modo incontrastabile. I mercati lo capirebbero e, si spera, anche l'Europa.

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